lunedì 2 agosto 2021

Due autorevoli pareri a proposito di incendi

Sulla questione incendi riportiamo il parere del dott. Franco Saba, e il link all'intervista rilasciata dal dott. Giuseppe Delogu a Alessandra Carta per Sardiniapost dal titolo: Nel Montiferru fiamme alte 30 mt. "Cosí l'acqua dei canadair evapora". 

Saba e Delogu sono in Sardegna due autorità in materia di gestione del territorio e di prevenzione e lotta agli incendi.  



A proposito di incendi

Bisogna avere i cappelli bianchi per ricordare la mutazione dell'organizzazione antincendi in Sardegna dall'ultimo dopoguerra ad oggi.

Solo a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso furono finanziate dalla Regione le prime squadre di pronto intervento per tutelare il raccolto dei cereali  che gli incendi avrebbero potuto distruggere. Ma ancora per tutti gli anni ‘60  gli incendi venivano spenti con le frasche  e accorrevano/concorrevano allo spegnimento, in maniera volontaristica  per un senso di solidarietà civile dettata dal comune destino, tutti coloro che, in quel territorio, avevano con la campagna  un legame di vita e di lavoro. Solo i Vigili del Fuoco avevano qualche autobotte, impiegate principalmente, però, in ambito urbano.

Una vera e propria organizzazione contro gli incendi boschivi e rurali si configura da noi a partire dagli anni ’70, con l’attribuzione della competenza al Corpo Forestale - in seno alla Regione Sarda - incardinato funzionalmente nell’Assessorato della Difesa dell’Ambiente di nuova istituzione.  

I principi di quella organizzazione si basavano sulla strutturazione territoriale di una capillare rete di avvistamento e a tal fine vennero istituite le famose vedette, operai assunti stagionalmente, che dalle loro postazioni situate sulle sommità delle colline a mo’ di novelli nuraghe, erano deputati al controllo visivo del territorio e a comunicare via radio alle stazioni del Corpo Forestale l’avvistamento precoce degli incendi, su cui convergevano tempestivamente le squadre comunali di pronto intervento  guidate dai Forestali. Si trattava di una articolazione territoriale basata sulla perfetta conoscenza del territorio da parte di tutti i soggetti investiti del ruolo, le vedette, gli operai e, ovviamente i Forestali che doverosamente lo conoscevano in forza della loro professione. 

La campagna antincendi vissuta in prima linea è stata il tirocinio formativo dei forestali della mia generazione e di quel periodo conservo la tuta ignifuga,  gli scarponi e la roncola che usavo per andare a spegnere gli incendi. 

Negli anni ‘70, sulla scia delle esperienze francesi  anche in Sardegna arrivarono  i primi elicotteri LAMA e quindi anche gli aerei  CANADAIR, dopo di che numerosi sono stati i velivoli prevalentemente militari come i  G 222 e i C 130 ( chiamati Hercules ) impiegati nella lotta antincendi. Contemporaneamente iniziava la sperimentazione di tutta l’importante strumentazione riguardante gli automezzi deputati alla corretta erogazione dell’ acqua, alle strumentazioni connesse,  alle sostanze estinguenti e ritardanti, ai sistemi e apparecchi ricetrasmittenti, ai sistemi di rilevamento all’infrarosso, ai dispositivi di protezione ed altro ancora,  ossia di tutto quell’apparato che viene comunemente compreso nella “ campagna antincendi”.

A fronte di un crescente impegno tecnico, economico e organizzativo, finalizzato principalmente a contrastare l’evento incendio e le emergenze connesse, l’entità e la frequenza del fenomeno  non ha però manifestato segni di regressione ed  anzi in diverse regioni mediterranee ed anche in Sardegna gli eventi sono diventati sempre più pericolosi  specialmente  nelle aree costiere fortemente antropizzate. 

Contemporaneamente all’attività di rilevamento, spegnimento e bonifica, il Corpo  Forestale e di V.A.  regionale ha predisposto e messo in campo  una preziosa attività investigativa che, a partire dagli anni ’90,  ha messo in luce  la molteplicità di cause dolose e colpose che sono tipicamente all’origine del fenomeno;  un fenomeno complesso alimentato dalla evidente  perdita dei legami vitali degli abitanti con il loro territorio e dalla propensione di noi  sardi all’uso del fuoco per le finalità più diverse, spesso illecite. Ora questa attività investigativa sembra sia limitata all’indagine dei casi più eclatanti, mentre sarebbe opportuno potenziarla per stimare i cambiamenti di costume e abitudini che ci fanno  capire come e dove e perché  si mette mano al fuoco.  

A  cavallo del terzo millennio il rischio incendi ( compresi quelli boschivi) è stato inglobato a tutti gli effetti nella sfera di competenza della Protezione Civile Nazionale, il che non si sa se sia un bene, perché così facendo si avvalla  di fatto l’idea che  gli incendi siano una “calamità naturale” da affrontare in regime di emergenza per limitare i danni soprattutto alle persone. E’ quanto accaduto nell’ultimo devastante episodio di Cuglieri, in cui le autorità regionali e statali  hanno in maniera stupefacente  parlato di “successo” dell’operazione di protezione civile, per aver saputo salvaguardare le vite umane,  che è obbiettivo certamente essenziale ma minimale. Il responsabile della Protezione Civile Nazionale si è addirittura compiaciuto per le evacuazioni prontamente disposte dall’apparato regionale, laddove tutti noi sardi siamo ancora sotto choc per l’enormità del disastro ambientale ed economico che si è verificato. 

Oggi la Protezione Civile, titolare del Piano Regionale Antincendi,  governa la Sala Operativa Antincendi  manovrando gli interventi aerei come in un gioco di guerre stellari, censisce gli eventi  in maniera  semplicemente numerica, asettica e  continua pervicacemente a rincorrere le emergenze invocando sempre più mezzi e risorse e sperando nelle condizioni meteorologiche. L’apparato antincendi è concepito come un esercito con tanto di fanteria, cavalleria e componente aerea, con migliaia di uomini a presidiare il territorio, ma percorrendo le campagne questa presenza non si nota, a differenza dei mezzi aerei che certamente si fanno notare perché  più rumorosi. Ma va da sé che il ricorso a mezzi aerei sempre più numerosi e potenti configura una delega dell’onere di spegnimento a questi mezzi  e di fatto esonera le comunità dal coinvolgimento responsabile. Gli stessi operatori professionali appaiono meno determinati nel fronteggiare le fiamme e capita spesso di vederli con lo sguardo rivolto al cielo in attesa del “deus ex macchina”.

I vertici dell’apparato sono certi che “la macchina” funzioni a dovere , ma noi  abbiamo un’impressione contraria. “La macchina” è certamente cresciuta – forse anche troppo  per certi versi – ma per contrastare  gli incendi non bastano gli aerei e le tecnologie, occorre prima di tutto fare prevenzione, quella prevenzione che viene proclamata ma non effettivamente operata sul terreno.  Occorre rivedere le strategie tenendo conto dei cambiamenti climatici e  del mutato assetto economico-sociale della popolazione. Occorre considerare l’abbandono delle campagne, l’incuria in cui versa tanta parte del territorio isolano e l’incomunicabilità della città con la campagna circostante, spesso destinataria di atti teppistici o di impiego illecito.  E, quando   il fuoco divampa nel bosco,  occorre saperlo capire e saper operare a terra. 

Una riflessione critica sulle strategie antincendio oggi in uso sarebbe doverosa, ma non compare nei comunicati e nei documenti della Protezione Civile e tanto meno nelle analisi politiche dei nostri amministratori regionali, che appaiono spiazzati e incapaci di capire il fenomeno. 

Eppure la prevenzione degli incendi (o prevenzione civile, secondo il dott. Giuseppe Delogu) è indicata da tempo come alternativa all’apparato di lotta, ma le varie azioni mirate a ridurre il rischio non vengono adeguatamente sviluppate: mi riferisco in particolare alla prevenzione selvicolturale  e al fuoco prescritto che possono ridurre in misura significativa il carico di incendio  per riduzione del combustibile. 

Nella mozione conclusiva del Convegno sugli incendi boschivi e rurali in Sardegna  ( Cagliari 14-15 maggio 2004), promosso dalla struttura che allora dirigevo, è scritto chiaramente che la lotta agli incendi non può essere interpretata solo ed esclusivamente nel senso del rafforzamento della organizzazione e delle tecnologie di contrasto e controllo – comunque necessarie – ma sempre più è richiesta una attenta riflessione delle comunità locali mediante azioni di responsabilizzazione tese ad impedire o ridurre le modalità di insorgenza degli incendi. 

Prima di congedarmi dal Corpo Forestale,  proposi all’Assessore della Difesa dell’Ambiente di istituire un “Osservatorio“ per monitorare la fenomenologia  degli incendi boschivi, capirne le dinamiche e le numerose connessioni con la realtà locale  e con i mutamenti sociali in corso,  come presupposto di  ogni politica di governo del fenomeno. Sarebbe stata - ed  ancora lo è  - una idea meritevole di essere attuata,  a costi decisamente inferiori a quelli di un mezzo aereo antincendio.

Cagliari luglio 2021                                    Franco Saba -  Dirigente forestale in pensione


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