domenica 6 dicembre 1998

Le attività insalubri della Sardamag di Sant'Antioco

L’annuncio della ripresa produttiva dello stabilimento Seamag per i primi mesi del 1999 ripropone il mai risolto problema delle emissioni inquinanti e con esso la preoccupazione dei cittadini che non intendono più sopportare passivamente l’inquinamento proveniente da un’industria ubicata all’interno del perimetro urbano.
L'impianto in via di dismissione
 Nonostante le assicurazioni provenienti dal management aziendale sulla compatibilità ambientale dell’attività produttiva e sulle moderne misure antinquinamento che intenderebbe adottare, noi siamo convinti che, non potendosi eliminare l’inquinamento, il disagio ambientale sarà purtroppo ancora elevato, soprattutto in considerazione dell’ubicazione dell’azienda e del particolare tipo di processo produttivo. Si tratta, infatti, di lavorazioni insalubri di prima classe (secondo la classificazione del T.U. delle leggi sanitarie del 1934) che dovrebbero svolgersi lontano dai centri urbani. Il fatto che la fabbrica sia a stretto contatto delle abitazioni imporrebbe un drastico abbattimento delle emissioni nocive e quindi costi per impianti antinquinamento tanto elevati da rendere probabilmente antieconomica la produzione. Non bisogna dimenticare che precedenti proprietari pur di non sostenere tali costi hanno preferito costruire un nuovo stabilimento in Sicilia.
Il degrado dell'area adiacente lo stabilimento
Fino ad oggi inoltre i costi dovuti al degrado ambientale causato dalla Sardamag sono stati pagati esclusivamente dalla collettività (basti ricordare, oltre ai “costi sanitari”, che fine ha fatto la laguna di sa punt’e s’aliga e il piano di recupero della Palmas Cave). A questo proposito è del tutto inaccettabile la semplicistica e fuorviante analisi effettuata dall’attuale amministratore delegato della Seamag che si limita ad enfatizzare la distribuzione di decine di miliardi di “denaro vero” in stipendi, appalti, e servizi, omettendo di quantificare i costi sociali (questi sì, veri) già sopportati e che dovrebbe ancora sopportare la comunità. Non ci pare proprio una seria analisi costi-benefici!
In definitiva, le vittime di questa situazione sono sempre le stesse: i cittadini di Sant’Antioco, compresi i lavoratori della ex Sardamag che da anni vivono in una condizione di precarietà e ai quali, nel corso dell’ormai decennale crisi dell’azienda, le amministrazioni pubbliche non sono state in grado di dare alcuna valida alternativa occupazionale.
Anche la prospettata riapertura della fabbrica, oltre ai problemi ambientali che inevitabilmente creerà, non libererà quei lavoratori dalla loro condizione, ma servirà ad alimentare fratture nel tessuto sociale che, tra l’altro, sarebbero ulteriormente amplificate da un referendum dall’esito scontato.

Sant'Antioco 6 dicembre 1998