sabato 30 giugno 2018

Le 10 domande al Consiglio Regionale della Sardegna

Pubblichiamo le dieci domande al Consiglio Regionale della Sardegna sulla c.d. Legge urbanistica elaborate nel corso di numerosi incontri, seminari e pubblici convegni dal Gruppo di lavoro “Materiali per un’urbanistica sostenibile”. 

Il disegno di legge sta per approdare in Consiglio Regionale senza che ci sia stato un vero dibattito pubblico sull’argomento e sulla legge che deciderà della sorte del territorio sardo e sulla sua vivibilità per i prossimi decenni. La cosiddetta fase di ascolto attivata dalla Giunta a cose fatte, non ha certamente sopperito all’assenza di coinvolgimento della comunità, per cui i decisori sono andati per la loro strada facendo orecchie da mercante persino ai richiami giunti dal Referendum prima e dal voto delle Politiche che bocciano ancora più clamorosamente in Sardegna che altrove questa maggioranza e la sua azione di governo che, specie nella difesa del paesaggio, dell’ambiente, della salute, è stata tutta altra cosa dal mandato elettorale ricevuto nel 2014.


Domande al Consiglio regionale della Sardegna sul DdL n. 409 16/03/ 2017
1.     Sa il Consiglio regionale se i Sardi condividono il DdL che non è frutto di un processo di partecipazione?
2.    Sa il Consiglio regionale che l’art. 43 del DdL consente di costruire in zone di pregio senza tener conto di habitat naturalistici, biodiversità, sostenibilità ambientale, in contrasto quindi con l’art. 9 della Costituzione?
3.     Come concilia il Consiglio regionale lo stesso art. 9 della Costituzione con l’art. 31 del DdL che autorizza strutture alberghiere e assimilabili (residenze, lottizzazioni turistiche, multiproprietà, comprese quelle in itinere), qualunque volumetria abbiano e dovunque si trovino, anche entro la fascia dei 300 metri dal mare e con la realizzazione di corpi separati?
4.    Come attua il Consiglio regionale una politica di assetto idrogeologico e di tutela del suolo in assenza di elementi conoscitivi, ridotti all’art. 38.3.b del DdL? Quali azioni e direttive fornisce lo stesso DdL sul consumo di suolo per allinearsi alle prescrizioni del PPR, a quelle dell’UE, ad un’urbanistica sociale e responsabile?
5.     Sa il Consiglio regionale che il DdL è in contrasto con gli artt. 3, 9, 21, 97 e con il principio di sussidiarietà ex art. 118 della Costituzione, in quanto nella Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) sui progetti, discrimina (art. 25 del DdL) l’ammissibilità degli interventi dei singoli cittadini?
6.    Come consente il Consiglio regionale che si consumi senza controllo il territorio, in compensazione (artt. 29 e 30 DdL), e si concedano elevati incrementi volumetrici, in contrasto col principio di eguaglianza e di ragionevolezza e con la tutela paesistica (artt. 3 e 9 della Costituzione)?
7.     Come può ammettere il Consiglio regionale, sempre in contrasto col principio di ragionevolezza richiesta alle norme ordinarie, la genericità delle rilocalizzazioni di edifici (eventualmente da demolire) in differenti contesti territoriali, non previsti e non prevedibili (artt. 32 e 33 del DdL), e con elevati aumenti volumetrici, cumulabili anche con gli indici della zona di “arrivo”?
8.    Può la Regione Sardegna, in contrasto con le attribuzioni Stato-Regioni (art. 117 della Costituzione)innovare il diritto civile istituendo un registro dei diritti edificatori (art. 34 del DdL), derivanti da demolizioni e rilocalizzazioni, senza individuare le aree di nuovo utilizzo?
9.    Sa il Consiglio regionale che il DdL ignora il Piano Regionale dei Trasporti e i requisiti di accessibilità del trasporto pubblico come parte del governo del territorio?
10.  Sa il Consiglio regionale che il DdL non rispetta la competenza dei Comuni, enti equiordinati ai sensi dell’art. 114 della Costituzione, sulla pianificazione territoriale, alla luce anche della sussidiarietà di cui all’art. 118 della stessa Costituzione?



Sull’argomento è intervenuto in questi giorni anche il segretario regionale della CGIL Michele Carrus, che ha criticato fortemente il provvedimento in quanto inutile per il turismo e dannoso per il territorio, e chiedendo di ritirare la legge dalla discussione in Consiglio Regionale, perché sarebbe più utile dedicare questo scorcio di legislatura a provvedimenti urgenti quale il piano per il lavoro. 

Altro intervento dell’ultim’ora è stato quello dei parlamentari 5stelle eletti in Sardegna che hanno bocciato senza appello il provvedimento e anche loro ne hanno richiesto l’immediato ritiro.


Noi siamo sempre più convinti che il Ddl debba essere varato solo dopo l’approvazione definitiva del PPR delle zone interne e comunque non può limitarsi ad un Testo unico e un Allegato tecnico incardinati alla vecchia concezione di urbanistica, ma deve essere regolamentata da una Legge quadro ovvero da un sistema normativo composto da un testo base sull’urbanistica e da una serie di procedimenti complementari (Atti di indirizzo e coordinamento) da aggiornare sistematicamente da parte della Regione.



sull'argomento

Italia Nostra Sardegna - Una nuova (?) legge urbanistica





giovedì 28 giugno 2018

A Bitti il Liceo Michelangelo Pira non si tocca!


Non è la promessa aurea aetas per Bitti! E i “sogni”, da spot elettorali, rischiano di mutarsi in incubi per i bittichesi. Prima l’assalto ancora in corso di una multinazionale alle alture di Sa Gomoretta per piantarci  pale eoliche, ora la trovata di spostare  lo storico liceo Michelangelo Pira nei locali del giudice di pace. La necessità di eseguire lavori di adeguamento nell’edificio scolastico, sembra infatti che celi la prospettiva di insediare nei locali della scuola una Residenza sanitaria per anziani. Un triste preludio alla prevedibile sparizione del Liceo. A fugare visioni oniriche e ad indicare una diversa sophia per il futuro della Comunità sovvengono con diuturne cure Antonietta e Maurizia Farre, note docenti ormai a riposo del centro barbaricino. In una lettera inviata al Palazzo Tiberino (che di seguito si riporta), Antonietta Farre espone con lucida fermezza l’opposizione ai propositi di trasferimento della sede scolastica, evidenziando come, dall’apparente razionalità del progetto di rifunzionalizzare spazi educativi, emergano i segni di una tacita volontà di marginalizzazione culturale delle comunità periferiche. I simboli sono portatori di significati che la prassi ignora ed i luoghi sono catalizzatori di simboli! Alcuni di essi hanno il potere di conservare le anime di coloro che li hanno amati. Sottrarre a sorgenti generazioni spazi da tempo agiti per conferirli a declinanti senescenze significa negare ad esse la Speranza.  Spopolamento e denatalità non possono essere ragioni che giustifichino la sterilizzazione di interi territori. “Resistere” alla sistematica sottrazione delle funzioni pubbliche (scuole, ospedali, servizi) si pone dunque come imperativo etico per quelle Comunità dei centri interni, che intendono opporsi all’annichilimento di storie millenarie. Quello delle sorelle Farre è un esempio del come si pratichi sul campo un’inesausta pedagogia sociale, del perché non sia più derogabile da parte del corpo docente l’impegno ad un’educazione olistica, non solo da infondersi ex catedra, ma anche quando da questa discesi, perché non si cessa mai di essere magistri animae per le generazioni in divenire. (Mauro Gargiulo)


Egregio Senatore Marilotti
Lo studio e l’istruzione hanno avuto da sempre ed hanno tuttora un’importanza fondamentale per noi bittesi. Direi che il  “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza” di dantesca memoria, ha esercitato in noi, da tempo remoto, un grande fascino e un’attrattiva straordinaria, ed entrare a far parte “de sos istudiatos”, qui a Bitti significava e significa compiere un balzo notevolissimo, che colloca la persona in una categoria privilegiata, dal valore indiscusso e di prestigio e che, ipso facto, annulla ogni differenza di classe o di tipo economico, in una società in cui questi aspetti pure contano.
Pur di far conseguire il titolo di studio, soprattutto la laurea, in famiglia “si pikaiata a su connotu” (si vendeva il patrimonio) e, se non si avevano beni immobili, piccoli o grandi, si era disposti ad “annare a petire” (indebitarsi). La persona istruita era colui che aveva “abertu su libru”. Questi valori, un tempo fortissimi e dominanti nella società bittese, pur avendo perso un po’ di smalto, perché intaccati dai disvalori di una società debole e in crisi, sono tuttavia ancora molto vivi, si può dire intatti.
In questo contesto, il Liceo M. Pira, sorto negli anni sessanta, ha svolto un ruolo fondamentale: è stato il trampolino di lancio per una schiera di giovani di Bitti e del circondario (Orune, Lula, Onanì, Mamone) che, conseguita la maturità, continuavano gli studi nelle Università dell’isola e della penisola, laureandosi brillantemente nelle varie facoltà. Moltissimi sono, oggi affermati professionisti, ricercatori. Alcuni alunni del Liceo sono diventati scienziati: citiamo soltanto il compianto Bachisio Dore, di Bitti, mio alunno, ingegnere nucleare di fama internazionale. Prima degli anni sessanta, le famiglie affrontavano spese enormi perché, per poter studiare, dopo la terza media, ancora adolescenti, si andava a Nuoro, a Sassari, a Cagliari, a Lanusei ecc., da cui si rientrava tre volte l’anno. 
Ora, in questi ultimi anni, si è registrato un lento declino nel paese in generale: vari tipi di crisi, che d’altronde, hanno colpito tutte le comunità dell’interno, insieme al fenomeno dello spopolamento, si sono ripercosse anche sull’istituzione scuola e sul Liceo. Arriviamo a questi giorni: quest’anno ci sono state solo tre classi, saranno quattro all’anno venturo. L’edificio ha delle parti inagibili: tetto, bagni, palestra, qualche colonna portante, alcune aule devono essere riparate. I lavori di risanamento dovrebbero essere a carico della Provincia, che dichiara di non avere disponibilità economiche. L’amministrazione comunale, interpellata perché trovi una soluzione, ha proposto il trasferimento delle classi nei locali dell’ex giudice di pace. Da poco, è stata fatta una riunione riservata, in cui genitori, alunni e docenti sono stati informati sulla necessità del trasferimento. Se questo fosse temporaneo, si potrebbe anche accettare, ma noi temiamo che questo provvedimento possa significare l’anticamera della chiusura del Liceo. In questi locali non c’è una palestra, non una biblioteca, non uno spazio per la ricreazione, non aule speciali (solo una).
Per via informale, da un tecnico, abbiamo saputo che la superficie da cui dovrebbero essere ricavate le aule non è sufficiente e che la Preside dovrebbe chiedere al Ministero una deroga. Per i lavori di ristrutturazione, la Regione ha stanziato, con il progetto Iscol@, la somma di circa 50mila euro. Fino a questo momento, non abbiamo ottenuto una pubblica assemblea per dibattere la questione, nonostante una richiesta scritta all’Amministrazione, risalente al 2 Maggio, e alcuni articoli sulla stampa. Abbiamo notizie informali e frammentarie. Di “ufficiale” (intervista al sindaco riportata in un giornale locale nel settembre del 2017, affermazioni verbali ai genitori durante l’incontro riservato del 5 giugno), c’è che l’intento dell’Amministrazione è quello di trasformare i locali del Liceo in una RSA, dal momento che la struttura è in gran parte inagibile e che non c’è la possibilità economica a risanarla. Questa notizia, trapelata già dal mese di settembre del 2017, ha determinato un impatto psicologico enorme. Ora, chiediamo a Lei, al Ministro: sostenete la nostra causa, perché non sia inferto un colpo alla nostra dignità e intelligenza. Non si può trasformare un Liceo storico (dove hanno insegnato Bachisio Bandinu e tanti altri docenti di valore, dove hanno studiato bravissimi giovani) in una RSA! Questo sarebbe devastante, come ben ha scritto Lei, per delle comunità già messe in ginocchio dalla crisi economica e sociale e dal dramma dello spopolamento. Se si chiudesse il Liceo, sarebbe per noi sprofondare nel buio dello scoramento. Ci sentiremmo abbandonati dalle Istituzioni e vedremmo vanificati gli sforzi, i sacrifici, l’impegno che noi residenti profondiamo per mantenere vive le nostre comunità in tempi difficili. Come ho detto: noi crediamo nella scuola come fabbrica di futuro. L’educazione dei giovani, la loro formazione, l’infondere loro coraggio, passano per la scuola. Sono pochi, è vero, ma appunto perché sono pochi, li dobbiamo formare bene ed istruirli ancor di più. Nel portare avanti questa causa, non possiamo sentirci così umiliati, disattesi, inascoltati. E poi, perché dobbiamo privarci della speranza che ci sia una ripresa della natalità anche nei nostri paesi? Noi lottiamo con fiducia e coraggio, anche per le famiglie di domani, per i cui figli è bello ritrovarsi nel proprio paese un Istituto superiore da frequentare, anche con offerta formativa diversificata, che arricchisca il corso liceale. 
Utilizzi liberamente quanto le ho rappresentato per la nota da presentare al Ministro. La ringrazio per l’attenzione e La saluto cordialmente, 
 Antonietta Farre


sabato 23 giugno 2018

Speculazione edilizia e urbanistica in Sardegna: le osservazioni di Italia Nostra al DdL n. 409

Osservazioni al Disegno di legge concernente "Disciplina generale per il governo del territorio" approvato dalla Giunta regionale con deliberazione N. 14/4 del 16.3.2017
Premessa 
Ex albergo Esit - Isola di San Pietro
Dall’approvazione del Ddl sul governo del territorio da parte della Giunta Regionale ad oggi, Italia Nostra Sardegna e Italia Nostra Nazionale - assieme ad altre associazioni ambientaliste e numerosi tecnici esperti di urbanistica, paesaggio e ambiente riuniti nella Consulta Ambiente e Territorio della Sardegna - ha fortemente criticato il disegno di legge che, con la pretesa di dettare norme in materia di governo del territorio, di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica, scardina di fatto le tutele garantite dal Piano Paesaggistico Regionale consentendo interventi edilizi di varia natura in aree sensibili sotto l’aspetto paesaggistico e ambientale.
Constatiamo che il DDL appare perlopiù una norma sull'edilizia piuttosto che una legge di governo del territorio. Si tratta infatti di una norma in continuità rispetto alle scelte in materia edilizia e urbanistica adottate dalla precedente amministrazione regionale, e in forte discontinuità con le scelte urbanistiche dei primi anni duemila che hanno portato all'adozione del Piano Paesaggistico Regionale, oltreché con la stessa normativa urbanistica che ha contraddistinto la legislazione della Regione Sardegna già dalla fine degli anni '70.
Anziché riaffermare i principi sanciti dal PPR del 2006, risulta evidente che il PPR è l’ostacolo da rimuovere, con la conseguente necessità di dover approntare strumenti normativi che in qualche modo lo aggirino o ne affievoliscano l’efficacia. 
L'elemento di maggior contrasto, ma non l'unico, tra PPR del 2006 e il presente DDL urbanistica è rappresentato dall'interpretazione che si da alla fascia costiera definita dal PPR “Bene paesaggistico con valenza ambientale”, dove sono vietati espressamente nuovi insediamenti turistici all’interno della fascia costiera se non in posizione contigua ai centri abitati esistenti. Mentre invece il Disegno di Legge sulla Pianificazione Urbanistica Regionale paventa, addirittura all’interno della fascia costiera, una potenziale trasformabilità al fine di realizzare eventuali nuove strutture. 
Il ruolo assunto dalla Regione in questa fase appare quello di favorire una politica urbanistica basata sull'edilizia e volta a creare le condizioni per realizzare profitti provenienti dalla rendita. Una pianificazione urbanistica ridotta alla registrazione da parte dell’ente pubblico delle esigenze delle imprese immobiliari e alberghiere, il cui obbiettivo è quello di realizzare strutture espropriando beni comuni attraverso la cancellazione delle tutele della fascia costiera.
Una pianificazione basata essenzialmente sugli incentivi volumetrici è priva di fondamento scientifico ed economico ed è fortemente pericolosa per gli effetti che potrebbe creare sulle nostre città e negli ambiti costieri già fortemente compromessi da interventi edilizi di dubbia validità. Sarebbe interessante conoscere la stima dei nuovi volumi che si potrebbero realizzare nei prossimi decenni se tutte le abitazioni esistenti in Sardegna venissero ampliate del 20 - 30% applicando gli articoli 29, 30, 31, 32 etc… sugli incrementi volumetrici.
Fortemente contradditorio appare l'obbiettivo di “limitare il consumo di suolo” consentendo a tutti i centri urbani e alle zone costiere di individuare nuove aree edificabili fino al 10% delle aree già urbanizzate. Si tratta di spazi imponenti di suolo da sacrificare e impermeabilizzare per accontentare forse l'edilizia, ma non certo il bisogno abitativo della comunità. Per quello ci sarebbero altri sistemi, a partire dal censimento e il riutilizzo delle case vuote, che in Sardegna rappresentano cifre ragguardevoli. 
L'individuazione di nuove aree edificabili oltre a non contrastare in alcun modo l'abbandono dei centri minori dell'interno, che vivono un vero e proprio spopolamento, contribuisce a creare nuovi paesi fantasma lungo le coste.
Per le tante motivazioni sopradette si ritiene che il presente DDL, se trasformato in legge, non rappresenterà un elemento di pianificazione territoriale utile a governare l'uso del territorio, ma creerà ulteriori difficoltà a una corretta gestione urbanistica. Il DDL, ponendosi in contrasto col PPR, creerà contenziosi di difficile risoluzione che non saranno di alcuna utilità all'azione e alle finalità della pianificazione di cui all'art. 3 della presente legge.
Si propone pertanto di sospendere l'esame del presente DDL. e di attivare la procedura per l'approvazione di un Piano Paesaggistico Regionale che tuteli l'intera isola. 
In subordine andrebbero cassati gli articoli 29, 30, 31, 32, 43, 79, A4 e gli articoli 85 e 86 limitatamente alla fascia costiera. Si tratta di articoli improponibili sotto l'aspetto urbanistico, economico e paesaggistico, e inoltre contrastano, limitano e vanificano le tutele garantite del PPR. 

Villasimius

Perché una nuova legge urbanistica?
Non si condivide l'urgenza di approvare una legge del governo del territorio visto che una legge urbanistica esiste in Sardegna ed è efficace nonostante risalga al 1989. Essa potrebbe essere eventualmente suscettibile di ulteriori modifiche.
La motivazione addotta per giustificare tale esigenza è principalmente quella di sostituire la legge regionale 45/89 (Norme per l’uso e la tutela del territorio reginale) perché vecchia di quasi trent’anni. È appena il caso di ricordare che la legge urbanistica italiana risale al 1942 e gode tutt’ora di ottima salute!
Tra l’altro la legge vigente è già stata modificata per renderla compatibile con successive norme – la sostituzione delle province con le nuove forme associative dei comuni o gli enti intermedi, la sostituzione dei Piani Territoriali Paesistici col PPR e l’integrazione delle sue Norme di Attuazione etc…
Si tratta anzi di una legge per quei tempi innovativa e ancora oggi in grado di normare l’urbanistica della Sardegna e che detta severe direttive per garantire la tutela dei Centri Storici, delle Aree Urbane e delle Zone Agricole. È forse proprio questo il motivo per cui è ritenuta vecchia e la si vorrebbe sostituire con una normativa meno rigida che consenta maggiori deroghe.   

Pianificazione paesaggistica per le zone interne.
Italia Nostra ritiene che si debba ripartire dal Piano Paesaggistico Regionale del 2006, primo Piano approvato in Italia e tutt’ora importante punto di riferimento per la pianificazione paesaggistica delle altre regioni italiane
Si sarebbe potuto, eventualmente, rivisitare il PPR attraverso l’aggiornamento cartografico, il riordino delle informazioni sul territorio, e la cancellazione delle parti previste in fase di avvio del PPR e oggi non più proponibili (ad esempio l’istituto delle intese). Si sarebbero potute rendere più snelle tutte le procedure di adeguamento degli strumenti urbanistici comunali al Piano. 
Condizione imprescindibile è che il PPR del 2006 non deve essere cancellato, ma semplicemente applicato in tutte le sue parti, in primo luogo rendendo obbligatorio l’adeguamento della pianificazione territoriale e comunale alle sue norme. 
Is Solinas
Il vigente PPR ha pianificato nel dettaglio l’intero perimetro costiero della Sardegna, lasciando ai comuni l’autonomia di pianificare, in fase di adeguamento dei PUC al PPR, gli aspetti puntuali dei beni culturali, identitari e paesaggistici da tutelare. Per le zone interne dell’isola invece, il PPR ha dettano norme generali sui centri storici, le zone agricole, i beni identitari e alcuni beni paesaggistici particolari (infrastrutture storiche, muretti a secco etc...), ma non ha affrontato una pianificazione paesaggistica di dettaglio come per la fascia costiera lasciando ad una seconda fase pianificatoria il compito di dotare anche le zone interne dell’isola di un Piano Paesaggistico dettagliato.
In questi anni si sarebbe dovuto quindi completare la pianificazione paesaggistica dell’intera isola, anche perché questo era l’impegno assunto dall’attuale amministrazione regionale e questa era la priorità urbanistica da affrontare. 
Con questo disegno di legge la Giunta Regionale cancella invece, assieme alle tutele paesaggistiche, anni di studio e di cultura del paesaggio e riprende la vecchia logica della pianificazione territoriale basata essenzialmente su:
  • territorio come merce di scambio piuttosto che Bene Comune da preservare;
  • acquisizione dell'intera normativa sul Piano Casa che da provvisoria può diventare definitiva; 
  • utilizzo dello strumento della deroga agli strumenti urbanistici e alla pianificazione paesaggistica come elemento autorizzavo delle opere rilevanti; 
  • disincentivazione per i comuni a predisporre la pianificazione urbanistica del proprio territorio e ulteriore proroga ai comuni per l'adeguamento dei PUC al PPR;
  • riesumazione dei vecchi vincoli dei 300 mt (150 per isole minori!) dalla battigia previsti dalla Galasso. Limiti eccessivamente ridotti che sono stati superati dalla linea di costa tutelata dal vigente Piano Paesaggistico Regionale,che in talune aree supera i mille metri di profondità; 
  • incremento di nuove aree edificabili con percentuali fino al 10% delle aree già urbanizzate;
  • riduzione del lotto minimo in area agricola per la realizzazione di edifici a destinazione residenziale. 

L’Associazione ritiene invece che sia fondamentale una pianificazione paesaggistica estesa all’intero territorio regionale, che tenga realmente conto delle tante criticità esistenti e che per l’immediato si adottino misure di salvaguardia partendo da una moratoria nel rilascio di tutte le autorizzazioni per l’installazione di impianti industriali e turistici nelle aree agricole, che il lotto minimo per la realizzazione di strutture residenziali non possa essere inferiore ai tre ettari - anche per favorire la ricomposizione agricola dei terreni agricoli e per fermare la manomissione del territorio - e che l’autorizzazione per la realizzazione di fabbricati finalizzati all’uso agricolo o zootecnico dei fondi debba essere rilasciata esclusivamente a imprenditori agricoli. 

Violazione della normativa comunitaria sulla procedura di Valutazione Ambientale Strategica
Nonostante il Ddl in esame possa consentire rilevanti modifica dell’ambiente e del paesaggio sardi, consentendo la realizzazione di nuovi edifici e l’ampliamento generalizzato di quelli esistenti, in totale assenza dei controlli imposti dalla disciplina nazionale e comunitaria agli atti di pianificazione,  non è stato valutato in alcun modo l’impatto del provvedimento sul territorio, né si fa cenno ad una qualche procedura di valutazione preventiva. 
La normativa vigente (Direttiva 2001/42/CE, D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), impone che gli atti producenti effetti diretti sull'ambiente siano assoggettati a Valutazione Ambientale Strategica (VAS). Tale obbligo deriva dal D.Lgs 3 aprile 2006, n. 152. Esso infatti  stabilisce che “la valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale”.
Per facilitare la corretta applicazione della normativa comunitaria, inoltre, il documento l’Attuazione della Direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, a cura della stessa Comunità europea, chiarisce che, anche se i termini “piani” e “programmi” non sono sinonimi, “entrambi possono coprire una vasta gamma di significati che a volte coincidono”. Tanto premesso, si precisa che, “per stabilire il contenuto dell’atto, il nome da solo (“piano”, “programma”, “strategia”, “orientamenti”, ecc.) non è un criterio sufficientemente affidabile”, in quanto “i documenti che hanno tutte le caratteristiche di un piano o di un programma secondo la definizione della direttiva possono avere diversi nomi”. “Uno dei parametri di valutazione” - conclude il documento - riguarda “la misura in cui è probabile che un atto abbia effetti significativi sull’ambiente” e ricomprende “qualsiasi dichiarazione ufficiale che vada oltre le aspirazioni e stabilisca un corso di azione per il futuro”. 
Tratalias

Secondo la normativa europea, insomma, deve essere considerato “Piano” “qualsiasi atto che decida le modalità per attuare una strategia di riassetto del territorio, fissando delle regole o un orientamento sul tipo di sviluppo che può essere consentito in determinate aree”. 
Le citate norme comunitarie e nazionali in materia di Vas, del resto, sono state correttamente recepite dalla stessa Regione Sardegna, nella deliberazione 34-33 del 07.08.2012, Allegato C, art. 1, comma 2, in cui si stabilisce che “la fase di valutazione è effettuata anteriormente all’approvazione del piano o del programma, ovvero all’avvio della relativa procedura legislativa, e comunque durante la fase di predisposizione dello stesso. Essa è preordinata a garantire che gli impatti significativi sull’ambiente derivanti dall’attuazione di detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione.”
Appare, dunque, chiaro che non sussiste alcuna preclusione sulla sottoposizione a Vas di un piano o programma approvato con procedura legislativa. Al contrario, dalle disposizioni sopra riportate discende in modo inequivocabile l’obbligo di assoggettare a Valutazione ambientale strategica anche i provvedimenti, “che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale”, approvati con atto normativo, come una legge regionale. La funzione amministrativa, del resto, può essere svolta anche attraverso uno strumento legislativo (a conferma vedi di recente Corte costituzionale, 9 febbraio 2012, sentenza n. 20). 
Appare pertanto evidente che diverse norme inserite nel Ddl incideranno in modo sostanziale e a tempo indeterminato sulle trasformazioni edilizie e urbanistiche del territorio regionale, riducendo arbitrariamente persino gli standard urbanistici, ossia verde, servizi pubblici e parcheggi, con ripercussioni significative sull’ambiente, il paesaggio e il patrimonio culturale. 
E non si tratta certo di un impatto da poco, considerato che in Sardegna ci sono circa 4000 esercizi alberghieri e complementari (Sardegna in cifre 2014), mentre le abitazioni sono 900 mila, di cui 300 mila vuote, il 60% delle quali (200 mila) si stima siano seconde case. Tutti questi immobili potrebbero essere aumentati da un minimo del 20% a un massimo del 40%, incrementando di milioni di metri cubi la volumetria esistente. 
Eppure è la stessa giunta regionale a mostrare di non conoscere i dati reali sui quali dovrà incidere il disegno di legge in esame, altrimenti non sosterrebbe che si tratta di una normativa in difesa dell’ambiente e per limitare il consumo del suolo. 
Lo stesso Rapporto Ambientale[1]stilato nell’ambito della procedura di VAS attivata dalla precedente Giunta Regionale per l’adozione del nuovo piano paesaggistico revocato dall’attuale Giunta - che recepiva interamente la normativa del precedente Piano casa, analoga a quella che si vorrebbe introdurre con il nuovo disegno di legge, metteva bene in evidenza le criticità dell’intero territorio regionale. L’analisi SWOT svolta in quel documento, tra i punti di debolezza dei beni paesaggistici, della fascia costiera e delle aree naturali e semi-naturali (pp. 74, 75, 77) ha rilevato principalmente la “suscettibilità e vulnerabilità a processi di trasformazione ed alla pressione antropica” con uno “stato di equilibrio precario dovuto a fenomeni di degrado ed inquinamento”. Anche le numerose minacce individuate concernono “trasformazioni antropiche non compatibili con la fruizione dei valori paesaggistici e ambientali esistenti” e “con la tutela della risorsa”. Si paventano “interventi di trasformazione che non siano necessari per i fini di tutela e conservazione del bene” e si segnala “l’inquinamento di aria, acqua e suolo” con conseguente “depauperamento delle risorse primarie e consumo di territorio”. Si evidenzia, infine la “trasformazione delle aree a più alta naturalità dovuto a pressione antropica con conseguente consumo di territorio non idoneo”.  
A fronte di tutte le criticità evidenziate la Regione Sardegna offre come soluzione l’incremento sino al 40% delle superfici già costruite, aumentando di un numero imprecisato di milioni di metri cubi le volumetrie esistenti. 
La stessa Corte costituzionale, infine, con la sentenza n. 46 del 4 aprile 2014, si è già, indirettamente, espressa sulla illegittimità del disegno di legge in via di approvazione.
Con riferimento specifico all’articolo 2 della Legge regionale 23 ottobre 2009, n. 4 (una disposizione analoga all’art. 30 del disegno di legge in via di approvazione) che consente, «anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici ed in deroga alle vigenti disposizioni normative regionali, l’adeguamento e l’incremento volumetrico dei fabbricati ad uso residenziale, di quelli destinati a servizi connessi alla residenza e di quelli relativi ad attività produttive, nella misura massima, per ciascuna unità immobiliare, del 20 per cento della volumetria esistente», la Consulta ne ha confermato la legittimità sul presupposto che “gli incrementi volumetrici, in deroga agli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici, sono infatti da essa consentiti in via straordinaria e temporanea”. 
Il superamento in una sorta di deroga permanente - “fino all’approvazione del Piano urbanistico comunale o intercomunale che ne prevede la regolamentazione all’interno dei piani di riqualificazione e rigenerazione urbana di cui agli articoli 70 e 71”[2]- della disciplina urbanistica comunale, dunque, è stata già dichiarata illegittima dalla stessa Corte costituzionale.


Nuraghe Arrubiu

OSSERVAZIONI AD ALCUNI ARTICOLI DEL DDL CONCERNENTE  "DISCIPLINA GENERALE PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO" 

In questa parte delle Osservazioni ci limitiamo a commentare le criticità più rilevanti e le motivazioni per la richiesta di cassare alcuni articoli e di emendarne degli altri.

Art. 12 Commissione regionale per il paesaggio
L'art. 2 sulla composizione della Commissione al comma c) accorpa in un’unica terna le Fondazioni e le Associazioni portatrici di interessi diffusi, questo consente alla Giunta Regionale una discrezionalità eccessiva che, come già capitato, porterà all'esclusione dalla Commissione Regionale per il Paesaggio delle Associazioni Ambientaliste. 

Art. 25 Dibattito pubblico per le opere di rilevante impatto
Premesso che per le opere soggette a VIA di competenza regionale il dibattito pubblico è già previsto dalla procedura, si ritiene che la norma sia inapplicabile e non raggiungerebbe pertanto lo scopo di coinvolgere i cittadini nella scelta, per i seguenti motivi:
a.     Dall'articolo non si evince l'obbligatorietà del dibattito pubblico e la partecipazione dei cittadini al dibattito è condizionata alla "motivata valutazione sull’utilità della partecipazione da parte dell’amministrazione pubblica procedente"[1].
b.     Risulta quasi impossibile, per motivi pratici, riuscire a formulare una richiesta avanzata dal 10% dei residenti nel territorio interessato dall’iniziativa

Art. 29 Incrementi volumetrici per interventi  in materia di efficientamento energetico degli edificiSi ritiene che gli edifici che insistono nella fascia costiera prevista dal PPR non debbano usufruire  degli incrementi volumetrici per l’efficientamento energetico al fine di evitare la realizzazione di edifici architettonicamente e paesaggisticamente non compatibili su parti di territorio sensibili sotto l’aspetto paesaggistico.
·      Per incentivare l’efficientamento energetico si potrebbero eventualmente prevedere degli incentivi di natura diversa: riduzione degli oneri di urbanizzazione, esenzione per 10 anni dal pagamento dell'addizionale regionale irpef, incrementare le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni previste dallo stato con una detrazione regionale etc... 

Art. 30 Incrementi volumetrici dell'edificato esistente per la riduzione del nuovo consumo di suolo
Questo articolo come quelli successivi ripropone le incentivazioni volumetriche già previste dalle diverse leggi regionali sul piano casa. Una norma nata come provvisoria che è stata invece prorogata nel tempo e che, inserita all'interno della legge urbanistica regionale, rischia di diventare definitiva
Infatti questi interventi di incentivazioni volumetriche sono applicabili "...fino all’approvazione del Piano urbanistico comunale o intercomunale che ne prevede la regolamentazione all’interno dei piani di riqualificazione e rigenerazione urbana...".
La norma appare a tutti gli effetti un disincentivo per i comuni a dotarsi di un nuovo strumento urbanistico, perché a quel punto non potrebbero più applicarsi gli incrementi volumetrici generalizzati in tutto il territorio comunale. 
Centro storico di Galtelii
Non si capisce come gli incrementi volumetrici possano ridurre il consumo di suolo, visto che sono previsti nuovi volumi e addirittura corpi di fabbrica separati.
Oltre alla dubbia costituzionalità della norma in quanto prevede una deroga ai vigenti Piani Urbanistici Comunali che potrebbe espletare i propri effetti senza scadenza, vanificando quindi gli stessi Piani di Riqualificazione e di Rigenerazione urbana, andrebbero considerate altre forme di incentivazione per quanti scelgono di "migliorare il patrimonio edilizio esistente".
Altra criticità deriva dal fatto che un incremento volumetrico del 20% corrisponde ad un incremento di abitanti della stessa percentuale. Considerato che la norma non prevede alcun incremento sulla dotazione dei servizi e degli standard urbanistici va da se che l'applicazione del presente articolo corrisponderà come minimo a una riduzione dei servizi della città, del quartiere o del paese del 20%.
La norma, richiamando l'art. 30 della legge regionale 23 aprile 2015 n. 8, prevede inoltre la possibilità di incrementi volumetrici anche per le strutture ricettive inserite all'interno della fascia costiera. Anche questi volumi potranno essere realizzati con corpi di fabbrica separati e fino all'adeguamento dei PUC. 
·      Si propone di cassare l'intero articolo in quanto il contenuto è in contrasto con il titolo dell'articolo, con la legge sul piano casa che prevedeva la temporaneità dell'intervento, con la sentenza della Corte costituzionale n. 46 del 4 aprile 2014 e con gli stessi indirizzi europei in materia di contenimento di consumo di suolo.


Art. 31 Incrementi volumetrici per interventi di riqualificazione e miglioramento della qualità architettonica degli edifici a destinazione turistico ricettiva
L'articolo rafforza il precedente, svincolando gli incrementi volumetrici dalla temporaneità e rendendoli definitivi.
L'articolo interessa le strutture turistiche, anche quelle che si trovano sulla battigia e che oggi non verrebbero autorizzate perché non compatibili con la tutela delle coste, con il paesaggio e con il buon senso. L'articolo premia attraverso incentivi volumetrici le strutture turistiche che intendono "migliorare qualitativamente l’offerta ricettiva" purché sia dimostrata la "funzionalità dell'incremento alla destagionalizzazione dei flussi turistici o all'accrescimento della potenzialità turistiche ed attrattive delle strutture ricettive".
In poche parole alberghi che possono godere di una rendita di posizione inestimabile grazie al consumo di un bene comune irripetibile come il paesaggio e lo spazio costiero, e che non sarebbero più autorizzabili con le attuali norme, possono aumentare la propria volumetria aggravando una situazione di criticità paesaggistica già allo stato attuale insostenibile.
Appare abbastanza chiaro che la soluzione proposta non riqualifica e non migliora affatto la qualità architettonica di questi edifici, ne dilata semplicemente le volumetrie. Se davvero si intende perseguire l'obbiettivo di un miglioramento della qualità ricettiva - e non invece usare questo come un pretesto per dilatare volumetrie in siti sensibili - le strutture in oggetto potrebbero rinunciare a qualche posto letto trasformando quei volumi in spazi ad uso collettivo.
Spiaggia Sotto Torre - Calasetta

È utile ricordare che non esiste a tutt'oggi alcuno studio comprovante il legame tra aumento di volumetrie e "destagionalizzazione" e che qualsiasi "piano di impresa", seppure "asseverato da un professionista abilitato" potrà semplicemente fungere da sostegno tecnico ad aumenti volumetrici generalizzati. Se con questo termine si intende un ampliamento della stagione turistica non si capisce come l'aggiunta di una SPA ad un albergo possa convincere il turista a visitare la Sardegna a marzo anziché ad agosto.   
In ultima analisi valgono quindi le cose dette per il precedente articolo sul fatto che la deroga permanente ai PUC vanifica di fatto la pianificazione urbanistica comunale e contribuisce a degradare aree costiere (consentendo ampliamenti e nuove costruzioni anche sulla battigia) già interessate da discutibili interventi edificatori.

·   Si propone quindi di cassare dall'articolo la parte relativa agli incentivi volumetrici, sostituendola  con incentivi di natura diversa: riduzione degli oneri di urbanizzazione, esenzione per 10 anni dal pagamento dell'addizionale regionale irpef, incrementare le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni previste dallo stato con una detrazione regionale etc...  



Art. 32 Rinnovo del patrimonio edilizio con interventi di demolizione e ricostruzione

Ancora una norma riportata dalla legge n° 8/2015 art. 39 (Piano Casa) che rende definitiva una norma provvisoria.
Anche questo articolo prevede una deroga permanente ai PUC vanificando di fatto la pianificazione urbanistica comunale.
·      Si propone anche per gli edifici da demolire e ricostruire che venga cassata la parte relativa agli incentivi volumetrici, sostituendola con incentivi di natura diversa (vedi conclusioni all'art. 31). 


Art. 43 Programmi e progetti ecosostenibili di grande interesse sociale ed economico
Questo articolo (nel nome della biosostenibilità) apre le porte a qualsiasi intervento edificatorio, anche a quelli in standby perché al momento non realizzabili grazie alle tutele previste dal PPR.
L'articolo sembrerebbe pensato per precostituire una normativa funzionale a progetti chiari e definiti che possano consentire la realizzazione di strutture già previste e pianificate, ma non ancora rese pubbliche. 
Sono evidenti le tante discrepanze con il vigente Piano Paesaggistico che l'articolo in oggetto tende a modificare qualora i progetti "ecosostenibili" risultassero in contrasto con le tutele del PPR:
I progetti in di cui al presente articolo possono addirittura derogare agli strumenti urbanistici attraverso l'accordo tra i vari enti coinvolti che ha effetto di "variante degli strumenti urbanistici vigenti"  

·    Si ritiene che il presente articolo, proprio perché in palese contrasto con la vigente pianificazione paesaggistica non possa essere emendato, ma debba essere cassato tout court.

Art. 44 Adeguamento degli strumenti di pianificazione al Piano Paesaggistico Regionale
Questo articolo è un’ulteriore proroga ai comuni che non intendono adeguare il PUC al PPR.
La legge concede altri 24 mesi di proroga per l'adeguamento dei PUC al PPR. Il Piano Paesaggistico imponeva 2 anni per adeguarsi. Dopo 12 anni si assiste all'ennesima proroga. 
Ricapitolando: i PUC si sarebbero dovuti adeguare al PPR entro il 2008, nel 2018 non sono stati ancora adeguati, quindi i comuni avranno tempo fino al 2020! 
Se dopo il 2019 i comuni non adegueranno il proprio strumento urbanistico al PPR non accadrà niente: si potranno continuare ad autorizzare tutte le opere di cui agli art. 30, 31, 32 etc... che prevedono la distribuzione a pioggia di incrementi volumetrici. 
L’assenza di supporto anche economico o di eventuali incentivi per i comuni che intendono adeguare il proprio strumento urbanistico al PPR, e di sanzioni per i comuni che non lo adeguano vanificano di fatto qualsiasi obbligo di adeguare la pianificazione comunale al Piano.
Se veramente si volesse accelerare l’iter di adeguamento dei PUC al PPR sarebbe utile che nelle more dell’adeguamento, i comuni non potessero rilasciare titoli abilitativi ad eccezione delle autorizzazioni per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili esistenti.
Si aggiunga l’anomalia presente nella norma che prevede premialità per i comuni che scelgono di non dotare i propri territori di una adeguata pianificazione urbanistica, vedi il precedente articolo 30, che consente l’applicazione delle incentivazioni volumetriche "...fino all’approvazione del Piano urbanistico comunale o intercomunale ..."!
·     Questo articolo, così formulato andrebbe cassato perché oltre a giustificare la negligenza dei comuni che non hanno voluto adeguare il proprio PUC al PPR, è un ulteriore disincentivo per i comuni a procedere in tal senso. 

Art. 67 Piano attuativo di edilizia residenziale sociale
L'articolo prevede che nei progetti per nuovi insediamenti attivati da privati o nei piani di rigenerazione e riqualificazione urbanistica e paesaggistica, siano individuate le aree o gli immobili necessari per la realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale, che "saranno oggetto di cessione gratuita al comune da parte dei proprietari o di permuta con altre aree o con diritti edificatori, ricorrendo alla perequazione o alla compensazione"
·      Una norma di difficile applicazione in quanto non si capisce chi dovrà decidere e in base a quali parametri saranno scelte le aree da cedere gratuitamente ai comuni e quali saranno oggetto di permuta o altro.



Art. 79 Nuovi edifici a destinazione residenziale all’interno dell’ambito rurale e Art. 80 Edifici strumentali alla produzione agricola 
Ennesimo tentativo di ridurre il lotto minimo da 3 HA a 1 HA per la realizzazione di residenze e edifici strumentali in area agricola.
Dalla fine del secolo scorso, e fino all'entrata in vigore del PPR, si è scatenata un’aggressione senza precedenti contro il territorio agricolo della Sardegna, in particolare nella fascia di qualche chilometro dal mare. La costruzione di villette camuffate da pagliai e stalle ha stravolto in maniera grave quella parte di territorio. Sono state distrutte intere campagne e lembi di terra fertile, perfino i muretti a secco! Intere opere ed edifici realizzati nei secoli precedenti hanno lasciato spazio a mostruosi edifici che niente hanno a che fare con la tipologia locale, dilatando esageratamente i nuovi volumi rispetto a quelli esistenti, e stravolgendo completamente le precedenti testimonianze dell’attività agricola del territorio.
La costruzione su tutto il territorio agricolo di ville e di seconde case ha rappresentato una vera e propria emergenze ambientale alla quale solo le tutele e i vincoli imposti dal PPR sono riusciti a porre rimedio ripristinando un minimo di legalità. Numerose sono state le lottizzazioni abusive sorte in particolar modo nelle zone agricole in prossimità di quasi tutte le aree costiere della Sardegna (Gallura, Ogliastra, Sinis, Sulcis etc…) e in prossimità di centri residenziali (Sassari, Assemini, Porto Torres, Is Molas  etc…) per le quali le diverse procure della repubblica hanno attivato numerosi procedimenti penali[2](quasi tutti finiti in prescrizione). Si tenga presente che le numerose lottizzazioni abusive di cui si sono interessati inquirenti e magistratura negli ultimi anni - realizzate con la "compiacenza" delle amministrazioni locali che hanno rilasciato le autorizzazioni a costruire “finti” edifici rurali in agro - risalgono quasi tutte a periodi precedenti il 2006, anno in cui è entrato in vigore il PPR che, elevando il lotto minimo a 3 ettari ha limitato la portata negativa di tale fenomeno.
Il presente articolo, disciplinando in maniera difforme dal PPR le nuove edificazioni a scopo residenziale in area agricola, può riportare alla deregulation che tanti danni ha causato al territorio costiero, al paesaggio e all'agricoltura. Esso consentirà di trasformare il territorio agrario in aree edificabili a buon prezzo, soprattutto quelle in prossimità della fascia costiera, delle città e nelle piccole isole. Riprenderà quindi la realizzazione dell’interminabile serie di lottizzazioni in agro, lottizzazioni che non dovranno neppure sostenere i costi infrastrutturali che avrebbero sostenuto nelle aree deputate all’espansione urbana. Caricando poi sulla collettività tali costi. Fenomeno questo molto frequente in Sardegna. Basti ascoltare le proposte avanzate dal sindaco di Sassari per sanare l’edificato sorto nella “fascia olivetata” attorno alla città[3].
Si tratta di una norma in controtendenza rispetto agli allarmi sul consumo di suolo fertile lanciati ultimamente dalla Comunità Europea. Allarmi raccolti dagli stessi Ministeri delle Politiche Agricole, delle Infrastrutture e dei BB.CC. che il 13 dicembre 2012 hanno presentato e fatto approvare dal governo un disegno di legge su «Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato»[4]  finalizzato a difendere l'uso agricolo dei terreni e orientare l'espansione edilizia sulle aree già urbanizzate attraverso interventi di riqualificazione e trasformazione urbana. 
L'articolo in oggetto rimanda all'art. 7 dell'allegato A per i limiti delle superfici e dei volumi realizzabili per questo tipo di strutture. L'allegato apporta sostanziali modifiche alle Norme Tecniche di Attuazione del PPR in quanto riduce il lotto minimo da 3 ettari (Art. 83 - Nuclei e case sparse nell’agro. Prescrizioni) a un ettaro (Art. A.7 Parametri urbanistico edilizi per gli edifici in ambito rurale).
Anche sotto l’aspetto culturale e della tradizione, è bene ricordare che le residenze nelle zone agricole non appartengono alla cultura agraria della Sardegna, ad eccezione di poche e ben definite regioni dell’isola[5]. Anche quando il campo e l’area coltivata o il pascolo si trovano distanti dal paese, sia il pastore che il contadino ricorrono alla costruzione di ricoveri provvisori tornando almeno settimanalmente alla propria abitazione, nel villaggio dove risiedeva il resto della famiglia. Il fenomeno delle seconde case in campagna è frutto dei tempi moderni, talvolta interessato da fenomeni di natura speculativa.   
L’Associazione ritiene pertanto che il lotto minimo per le residenze non possa essere inferiore ai tre ettari - anche per favorire la ricomposizione agricola dei terreni agricoli e per fermare la manomissione del territorio.
·    Per quanto riguarda gli edifici a fini produttivi e residenziali in agro devono essere richiamati e ribaditi tutti i limiti stabiliti da PPR in termini di volumetrie, superfici, altezze degli edifici etc... ai quali devono adeguarsi le norme edilizie per la realizzazione di strutture in ambito rurale 

 
Laveria Lamarmora
Art. 85 Ambiti di potenziale trasformabilità e Art. 86 Pianificazione degli ambiti di potenziale trasformabilità
La pianificazione di nuovi insediamenti e l'individuazione di nuove aree edificabili è giustificato tra l'altro da (comma 2 art. 86):
a) limitazione dell’ulteriore consumo di suolo;
b) compensazione e mitigazione ambientale;
Mentre l'entità delle nuove aree edificabili è stabilita dal comma 8 dell'art. 85:
"La superficie totale degli ambiti di potenziale trasformabilità compresi nel Piano Urbanistico non può eccedere, salvo analitica dimostrazione, il 10 per cento della superficie totale di tutti gli ambiti urbanizzati".
Appare davvero sconcertante la risposta che il DDL riserva all’allarmante fenomeno del consumo di suolo, vera e propria emergenza dei paesi industrializzati: fino al 10% delle superfici già interessate da urbanizzazioni, incrementabile attraverso "analitica dimostrazione"!  
Un indirizzo che risulta in assoluta controtendenza rispetto alle nuove scelte urbanistiche in campo europeo. Con grande gioia dei profeti del mattone, sono ancora molti gli ettari di terreno che anche in Comuni di soli 5 mila abitanti (uno standard diffuso in Sardegna) potranno essere cementificati, per tacere delle aree a vasta densità edilizia, nelle quali dilagherà l'inarrestabile consumo, sottrazione e impermeabilizzazione di suolo.
In un'isola con un trend in forte decremento demografico appare del tutto chiaro che le nuove aree edificabili non sono funzionali al soddisfacimento del fabbisogno abitativo della comunità, ma esse tendono ad alimentare il mercato delle seconde case e della speculazione immobiliare. Si tratta infatti di una norma che verrà applicata nei centri costieri e sarà del tutto inutilizzabile nei comuni interni. Infatti le nuove aree edificabili non risolveranno certamente l'annoso problema dello spopolamento che colpisce i piccoli centri delle aree interne della Sardegna che continueranno a svuotarsi, ma saranno utili per far nascere nuovi villaggio e quartieri fantasma lungo la fascia costiera della Sardegna.
Siamo altresì convinti che il consumo di suolo non si combatte individuando nuove aree edificabili, ma attivando un attendibile censimento delle unità abitative vuote e conseguenti atti  amministrativi capaci di attivare azioni di recupero e di riutilizzo di questi immobili. 
·    Si propone che gli articoli 85 e 86 possano essere applicati solamente nei comuni interessati dal fenomeno dello spopolamento e comunque non ricadenti all'interno della fascia costiera tutelata dal PPR vigente,
·       Se realmente si ritiene di voler limitare il consumo di suolo, è necessario che i nuovi PUC siano elaborati con il criterio della crescita zero delle aree edificabili. Pertanto, in particolare nei comuni costieri, i fabbisogni determinati dal PUC attraverso le analisi di Piano, devono essere esclusivamente localizzati nelle aree già̀ urbanizzate o attraverso interventi di riqualificazione urbanistica e paesaggistica degli insediamenti esistenti. 
 
Portu Sciusciau - Sant'Antioco
OSSERVAZIONI ALL’ALLEGATO “A” 
  Art. A.4 Determinazione del fabbisogno quantitativo per gli ambiti di interesse turistico
Il presente articolo stabilisce modalità e limiti delle strutture turistiche ubicabili oltreché in prossimità dei centri urbani consolidati, anche in prossimità delle strutture turistiche esistenti (in contrasto col PPR). Cioè un po' dappertutto!
L'individuazione del "fabbisogno", cioè dei volumi realizzabili viene determinata assegnando una quantità di mc in funzione della tipologia del tratto costiero. Una rivisitazione del Decreto Floris che invece assegnava abitanti insediabili anziché volumi. Norma anche questa che contrasta col PPR visto che esso si limitava a dimezzare il numero degli abitanti insediabili calcolati secondo il decreto Floris.
I due metodi di calcolo creano comunque una disparità di trattamento e di tutela all'interno del perimetro costiero, scaricando nei tratti costieri più sensibili e in una superficie ridotta, quella delle isole minori, circa un quarto dell'intera insediabilità della Sardegna.Basti pensare che le isole minori coprono l'1% dell'intera superficie della Sardegna e il 27% del perimetro costiero! Questo significa che il 27% dei nuovi volumi graveranno sull'1% della superficie dell'intera Sardegna. 
Se a ciò aggiungiamo la tutela differenziata della fascia costiera di maggior tutela – 150 mt anziché 300 – a discapito delle isole minori della Sardegna possiamo facilmente prevedere che il presente Ddl mette a rischio l’intero patrimonio paesaggistico delle isole minori della Sardegna.  
Un articolo quindi che oltre a contrastare col PPR - dimezzamento degli abitanti insediabili e ubicazione dei volumi solo in prossimità dei centri urbani - risulta in assoluta controtendenza rispetto alle nuove scelte urbanistiche in campo europeo sulla limitazione del consumo di suolo.
·      Si ritiene che gli unici volumi realizzabili a fini turistico ricettivi debbano essere ubicati  all'interno o in stretta prossimità dei centri urbani consolidati attraverso la ricettività diffusa e la messa a valore dei tanti edifici vuoti presenti in tutti i centri costieri e nelle zone interne della Sardegna e che comunque tutti gli interventi siano finalizzati al raggiungimento degli indirizzi sul turismo sostenibile in base al Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), ‘Making Tourism More Sustainable – A Guide for Policy Makers’[6], adottato a Parigi nel 2005.


[1]Art. 25 comma 8 Ddl 409
[5]Gli stazzi galluresi e I furriadroxus sulcitani
[6]http://www.unep.fr/shared/publications/pdf/dtix0592xpa-tourismpolicyen.pdf






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