lunedì 31 gennaio 2022

La legge regionale sul Piano casa respinta perché danneggia il territorio nel suo aspetto paesaggistico e ambientale


La Corte costituzionale conferma le posizioni del Mic e di Italia Nostra: nessuna deroga al Piano paesaggistico regionale in favore del Piano casa. Illegittime le continue proroghe.

La Consulta sventa senza possibilità di appello l’ennesimo tentativo di smantellamento del Ppr da parte della regione Sardegna, dichiara illegittime 21 disposizioni del Piano casa e riafferma in modo incontestabile la prevalenza delle norme di tutela. 

Viene ribadito con forza anche il valore di bene paesaggistico d’insieme della fascia costiera, che si estende ben oltre i 300 metri tutelati dalla normativa statale, con la conferma dell’inderogabilità delle disposizioni di salvaguardia dei beni paesaggistici del terzo tipo, vincolati direttamente dal Ppr. È stata, infatti, totalmente sconfessata la tesi della Regione che da anni sostiene la declassificazione di tali beni – tra i quali rientrano, oltre alla fascia costiera, anche tutti i centri storici dell’isola – con la dichiarata assenza della necessità dell’attività di copianificazione col Mic. La Corte, viceversa, ne ha rimarcato l’importanza in quanto “il sistema della pianificazione paesaggistica, che deve essere salvaguardato nella sua impronta unitaria e nella sua forza vincolante, rappresenta attuazione dell’art. 9 Cost. ed è funzionale a una tutela organica e di ampio respiro, che non tollera interventi frammentari e incoerenti”.

La Consulta, preliminarmente ha ricordato che “nell’esercizio della competenza primaria nella materia edilizia e urbanistica, la Regione autonoma Sardegna incontra anche il significativo limite della tutela ambientale, garantita dalla normativa statale e realizzata con la redazione dei piani paesaggistici”.

È stato censurato l’intero impianto normativo regionale, in contrasto con principi consolidati, invalicabili anche dalle leggi future, che pongono fine alla possibilità di un continuo rinnovo del Piano casa, in proroga da 12 anni. 

A parere della Corte, infatti, “è proprio l’indefinito succedersi delle proroghe, ancorate all’entrata in vigore di una nuova legge regionale sul governo del territorio o a termini di volta in volta differiti, che interferisce con la tutela paesaggistica e determina il vulnus denunciato dal ricorrente”.

Tale prassi legislativa, “nel sancire per un tempo apprezzabile un’ulteriore proroga di disposizioni che derogano alla pianificazione urbanistica, consente reiterati e rilevanti incrementi volumetrici del patrimonio edilizio esistente, isolatamente considerati e svincolati da una organica disciplina del governo del territorio, che lo stesso legislatore regionale individua come la sede più appropriata per la regolamentazione di interventi di consistente impatto, nel rispetto dei limiti posti dallo statuto di autonomia alla potestà legislativa primaria”. 

Secondo la Corte, insomma, “la legge regionale, consentendo interventi parcellizzati, svincolati da una coerente e stabile cornice normativa di riferimento, trascura l’interesse all’ordinato sviluppo edilizio, proprio della pianificazione urbanistica, e così danneggia «il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale»”.

Di fondamentale importanza anche il fatto che, “tale proroga, disposta in pendenza del procedimento, condiviso con lo Stato, di adeguamento del piano paesaggistico relativo alle aree costiere e di elaborazione di quello relativo alle aree interne, peraltro in corso da lungo tempo, finisce per compromettere la stessa pianificazione paesaggistica, deputata a indicare le linee fondamentali della tutela del paesaggio”. 

La disciplina impugnata – conclude la Corte – contrasta dunque con la normativa codicistica posta a tutela del paesaggio, che costituisce limite anche alla competenza legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna nella materia dell’urbanistica e dell’edilizia”.

La Consulta non si limita a dichiarare illegittime le disposizioni che prevedevano una deroga espressa al Ppr, ma ribadisce con la formula della decisione interpretativa di rigetto – in sostanza un accoglimento – “che presupposto imprescindibile degli interventi di incremento volumetrico è la compatibilità con le previsioni del piano paesaggistico, che non può ritenersi, dunque, derogato o eluso”. 

Ne consegue che le restanti norme, “possono e devono essere invece interpretate in conformità alla disciplina posta a tutela del paesaggio e sono estranee, pertanto, alle deroghe espresse al piano paesaggistico, sancite dall’art. 30, comma 2, della legge reg.le Sardegna n. 1 del 2021, dichiarato costituzionalmente illegittimo con la presente pronuncia”. Infatti, ha concluso la Consulta, “con riguardo a questi interventi, si deve rilevare che permane l’efficacia cogente delle più restrittive prescrizioni del piano paesaggistico regionale e del d.lgs. n. 42 del 2004, in quanto non derogate e provviste di immediata forza vincolante”.


sull'argomento

La Repubblica - Italia Nostra contro le deroghe al Piano Casa Sardegna: "Minacciano la salvaguardia delle coste"

Italia Nostra - La Corte costituzionale conferma le posizioni del Mic e di Italia Nostra: nessuna deroga al Per in favore del piano casa

AGI - La Consulta sul Piano casa della Sardegna: "Niente deroghe sul paesaggio"

L'Unione Sarda - Sardegna: la Consulta salva in parte il piano casa

Sardinia Post - Piano casa bocciato, l'ordine degli ingegneri: ora serve una nuova legge





sabato 29 gennaio 2022

Piano Casa Sardegna: La Corte ha cassato le proroghe infinite e gli articoli della legge in contrasto col Ppr

È arrivata oggi l’ennesima bocciatura alla politica urbanistica della Giunta Solinas da parte della Corte Costituzionale. 

Come da previsione, con la sentenza n. 24/2022 la Consulta ha ribadito ancora una volta la prevalenza del Piano Paesaggistico Regionale, unico strumento valido di protezione del paesaggio, rispetto alle leggi regionali in quanto approvato in ottemperanza al Codice del Paesaggio e il cui livello di tutela non può in alcun modo essere ridotto unilateralmente.

La stessa Corte ha ricordato con la propria sentenza n. 251 del 2021 che la prevalenza della pianificazione paesaggistica «integra una regola di tutela primaria del paesaggio in nessun modo derogabile ad opera della legislazione regionale che, nella cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali, deve rispettare gli standard minimi uniformi di tutela previsti dalla normativa statale, potendo al limite introdurre un surplus di tutela e non un regime peggiorativo»

È quanto Italia Nostra e le altre Associazioni Ambientaliste sostengono da anni, e probabilmente ne era consapevole anche la Giunta Regionale. È trascorso comunque un anno dall’emanazione della legge fino all’odierna sentenza, un lasso di tempo sufficiente per allentare i vincoli normativi, aprire brecce nel PPR e consentire ai più furbi e attenti di realizzare opere prima del ripristino della legalità. 

Per fortuna la sentenza ha cassato moltissimi articoli della legge regionale n. 1/2021, in particolare quelli più impresentabili sotto il profilo della decenza, quale ad esempio l’art. 11 che consentiva di computare le premialità volumetriche anche sugli abusi edilizi. L’art. 17 che perpetuava una disciplina urbanistica derogatoria all’infinito riproponendo per l’ennesima volta una proroga a una normativa creata eccezionalmente e per un breve arco di tempo. 

Il pronunciamento della Consulta è ancora più rilevante sotto l’aspetto paesaggistico-ambientale nel dichiarare l’illegittimità̀ costituzionale di una parte dell’art. 5, della legge reg. n. 1 del 2021, che consentiva nella fascia costiera di realizzare gli incrementi volumetrici alle strutture ricettive anche mediante la realizzazione di corpi di fabbrica separati

L’auspicio è che questa sentenza possa servire da monito al legislatore regionale affinché le prossime norme siano rispettose del diritto e delle competenze che appartengono ai diversi organi dello stato.



sull'argomento

La Sardegna vara il piano triennale per la cancellazione delle regole urbanistiche

Il Manifesto - Niente cemento sull'isola

Tentazioni della penna - Italia Nostra: La Corte Costituzionale ha cassato diversi articoli della legge relativa al Piano Paesaggistico Regionale

Il Manifesto Sardo - La Corte Costituzionale ha bocciato parzialmente la legge sul piano Casa in Sardegna

Sardinia Post - PPR salvo, bocciata la scorciatoia del Piano Casa

La Gazzetta Sarda - Italia Nostra Sardegna: "Arrivata l'ennesima bocciatura alla pianificazione urbanistica della Giunta Solinas"

Ansa Sardegna - Sardegna: Consulta salva parte Piano Casa, ma stop deroghe Ppr



mercoledì 19 gennaio 2022

Privatizzazione di promontori e Beni Comuni della Sardegna: Punta Giglio è la punta dell’iceberg

La mobilitazione dei cittadini di Alghero, e in particolare degli animatori del Comitato Punta Giglio Libera, è servita a mantenere viva l’attenzione sull’evidente privatizzazione di un importante bene comune ubicato in un’area di rilevante valore paesaggistico e ambientale, inserita all’interno del parco regionale di Porto Conte e tutelata dalle Direttive Europee Habitat e Uccelli per la presenza di significativa biodiversità e di numerose specie animali.  



Il “restauro e rifunzionalizzazione” della vecchia batteria antinavale di Punta Giglio – concessa a titolo gratuito e in assenza di alcun processo partecipativo ad una cooperativa per trasformarla in struttura ricettiva a scopi turistici - è solo l’anticipazione di ciò che accadrà ai fari e alle stazioni semaforiche della Sardegna, che attraverso il Bando Orizzonte Fari sono stati assegnati dal Demanio a dei privati per essere trasformati in strutture ricettive. Ci riferiamo ai fari dell’Asinara, dell’arcipelago della Maddalena, alle stazioni semaforiche di Sant’Antioco e di Arzachena, per citarne alcuni.

Si tratta, anche nel caso dei fari, di Beni Comuni ubicati in promontori dal valore paesaggistico e culturale unici ed irripetibili, in ecosistemi sensibili ricchi di biodiversità e di specie faunistiche. Importanti strutture che caratterizzano la storia della Sardegna, come tali vincolate ai sensi del Codice dei BB.CC., beni identitari secondo il dettato del PPR, storiche sentinelle che negli ultimi secoli hanno vigilato da nord a sud sull’intero perimetro delle coste sarde. Luoghi di grande suggestione che rischiano di trasformarsi in spazi banali nel nome di una falsa idea di “valorizzazione”. 

Italia Nostra Sardegna ritiene che la salvaguardia dei beni demaniali di rilevante importanza monumentale e simbolica prevalga rispetto alle attività economiche, che il loro recupero e risanamento debba avvenire a cura degli enti pubblici e che, una volta recuperati e messi in sicurezza, debbano essere adibiti ad attività pubbliche, aperti dunque a tutti al fine di garantirne una reale fruibilità collettiva.  

A Punta Giglio sta avvenendo invece che chi avrebbe dovuto salvaguardare e tutelare il bene e l’area abbia appaltato questo compito a dei privati. Lo stesso pagamento di un biglietto per accedere ad un’area tutelata, per il quale la nostra associazione non è contraria a priori, assume in questo caso la connotazione di un dazio da pagare, sempre a privati, per poter fruire del luogo. Insomma una vera privatizzazione dei beni che appartengono alla comunità.

Se a tutto ciò si aggiungono le procedure poco chiare alle quali i concessionari e gli stessi enti pubblici sono ricorsi in alcune fasi dell’iter autorizzativo – la destinazione urbanistica dell’area, la destinazione d’uso e l’accatastamento dell’immobile al pari di un orfanotrofio o di un convento etc… - si capisce che esiste un palese intento di forzare la normativa e nel contempo di escludere la comunità dalla fruizione di quei luoghi per tutti gli anni di vigenza della concessione. 


Senza entrare nel merito della ristrutturazione dell’immobile evidenziamo in particolare il massiccio intervento di disboscamento, di taglio di alberi, di cespugli e di siepi in un sito dove qualsiasi intervento, anche non invasivo, risulta non mitigabile. La stessa demolizione parziale della cisterna, e del sistema di captazione e raccolta delle acque meteoriche, per trasformarla in una “vasca ludica” non depone certo a favore della conservazione della memoria dei luoghi.

La nostra Associazione esprime forte preoccupazione per l’intera vicenda che ha trasformato la batteria di Punta Giglio in un “non luogo” e paventa che queste operazioni possano ripetersi nei tanti promontori della Sardegna che ospitano beni identitari interessati da progetti di “rifunzionalizzazione” e privatizzazione.



sull'argomento








domenica 16 gennaio 2022

La vera transizione attraverso l’autoproduzione e la democrazia energetica

Con il D.lgs. 199/2021 l’Italia ha dato attuazione alle direttive RED II (2018/2001) e IEM (2019/944) in materia di comunità energetiche (CER) e autoconsumo collettivo (AUC). Si tratta di un passo decisivo in direzione della circolarità economica, pilastro ineludibile della sostenibilità. Ma cosa è una Comunità Energetica? Potremmo sintetizzare dicendo che si tratta di un’associazione tra cittadini o anche di un’associazione pubblico-privato, il cui scopo non è il profitto ma il perseguimento di benefici ambientali, sociali ed economici a vantaggio della collettività in senso lato. La logica che la innerva è la sostituzione della modalità di generazione e utilizzo delle fonti rinnovabili. In pratica lo schema piramidale che vede al vertice un unico produttore e alla base una pluralità di consumatori, viene sostituito da una struttura reticolare in cui i produttori sono anche consumatori. 


Evidenti i vantaggi di una tale alternativa. La speculazione energetica, che a tutt’oggi dilaga incontrollata producendo guasti irreparabili in ambito paesaggistico oltre che drenare ingenti risorse allo sviluppo delle rinnovabili, finisce per trovare un argine. Vi si oppone un’aggregazione sociale, con dignità giuridica riconosciuta dalla norma, le cui finalità sono, non gli interessi economici di pochi, ma la democrazia energetica e la dimensione sociale della condivisione dei benefici. Questo radicale cambio di paradigma spiega il perché del percorso lungo ed irto di ostacoli per l’affermazione delle CER.

È infatti del lontano 2001 la Direttiva Comunitaria (N.77) in materia di promozione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili e del 2003 il suo recepimento in ambito nazionale (D.lgs. 387/2003). In entrambi casi l’unico modello normativamente configurato è quello della grande produzione concentrata. Bisogna attendere il 2018 (2021 in ambito nazionale) perché con la RED II la Comunità europea provveda ad affiancare alla generazione concentrata l’alternativa di quella distribuita. Un lasso temporale durato un lungo ventennio, con le multinazionali a farla da padrone, che la dice lunga sul perverso intreccio tra interessi capitalistici e gestione politica della transizione ecologica. Connubi ancora manifesti, se appena si volge lo sguardo alla tassonomia UE sulle attività ecocompatibili in corso di approvazione con nucleare e fossili ancora sugli scudi. 


Impianto di Ussaramanna

Il D.lgs. 199/2021 sostituendo il vincolo di connessione alla cabina secondaria della CER con quello della primaria, aumentando il limite di potenza degli impianti da 200 KW a 1 MW ammessi ai meccanismi di incentivazione, consentendo l’abbinamento degli impianti con gli storages e la cumulabilità dei regimi di sostegno (il PNRR prevede risorse per i comuni fino a 5000 abitanti) è un primo passo. Nondimeno può dirsi risolutivo in considerazione sia del colpevole ritardo, sia dell’esiguità delle risorse che dei vincoli burocratici.

Italia Nostra Sardegna ha condiviso e sostenuto il percorso di sperimentazione che due Comuni sardi (Villanovaforru e Ussaramanna) hanno intrapreso nel 2020 con anticipatrice determinazione ai fini della costituzione delle prime due CER in Sardegna. A iter concluso la temuta incognita del coinvolgimento delle comunità può dirsi positivamente superata. In una società parcellizzata come quella contemporanea, il ritrovarsi a discutere di bisogni e interessi comuni anche ai fini del lenimento della povertà energetica dei ceti meno abbienti non può darsi come fatto scontato. Né è stato di facile superamento l’ostacolo costituto dalla forma giuridica statutaria che la CER ha l’obbligo di darsi in ossequio alla normativa. 

Impianto di Villanovaforru

Si deve all’impegno dei due Sindaci se la tessitura della CER ha così assunto forma organica all’interno dell’ordito normativo. A merito delle due Amministrazioni va ascritto l’impegno economico da esse assunto nella realizzazione degli impianti, al cui recupero si è di fatto rinunciato, facendolo rientrare tra i benefici del risparmio energetico generato dal consumo diretto di una parte dell’energia elettrica prodotta.

Quello dell’anticipazione del capitale (CAPEX) è infatti uno dei maggiori elementi ostativi alla diffusione delle CER, che potrà essere in parte superato attraverso l’utilizzo dei fondi resi disponibili dal PNRR.

La sperimentazione ha dunque dato risultati lusinghieri e di essa potranno giovarsi le altre comunità isolane. La Sardegna infatti con la diffusa presenza di Comuni a bassa densità demografica e la disponibilità di condizioni ambientali favorevoli costituisce un fertile humus per la diffusione e lo sviluppo del modello attuato.  Va inoltre evidenziato che il tessuto sociale dei centri minori beneficia di rapporti di sodalità, anche se non sempre scevri da arcaiche conflittualità. L’esigenza dialettica imposta dai processi di aggregazione, se attuata con sagacia, non potrà che rinforzare i primi a danno delle seconde. 

Se allarghiamo il focus al livello isolano si nota come il virtuoso espandersi di queste best practices non potrà che produrre benefici ad una scala vasta. L’autoconsumo condiviso infatti, oltre che determinare una contrazione notevole della richiesta energetica e garantire una stabilità della rete, contribuisce con la produzione in eccesso a soddisfare i bisogni delle aree a più forte consumo, una volta risolto il problema storage. In sintesi le CER costituiscono l’antidoto al virus della proliferazione incontrollata dei grandi impianti di produzione energetica, sotto il cui ricatto espansivo l’Isola soggiace anche negli intenti della programmazione del PNRR e del PNIEC.

Se infine si considera che a livello nazionale non sono più di una ventina le CER in corso di attivazione e che l’Isola può vantare, oltre le due realtà citate, virtuose sperimentazioni affini attuate nei Comuni di Benetutti e Berchidda, non può che sollevare interrogativi la scelta, da parte del Governo regionale, dei Comuni di Sarroch e Siamaggiore quali privilegiati destinatari di risorse economiche destinate alla sperimentazione delle CER (Delibera di giunta n. 49/54 del 17.12 2021). 

Una tardiva resipiscenza visto che fino ad oggi palese è stata la latitanza di sensibilità ai temi della sostenibilità ambientale da parte della Giunta Solinas, tutta protesa alla promozione del metano ed all’incremento volumetrico negli ambiti costieri. Né va dimenticato il procurato aborto della proposta di legge regionale n. 47 del 2019 sulle comunità energetiche presentato nel 2019 dal Gruppo Progressisti e affossato in Commissione. 

In conclusione sembra aversi un riscontro anche in ambito isolano che sotto le mentite spoglie della transizione ecologica si celino interessi di parte e connivenze politiche. 


  

sull'argomento

RAI 3, Spazio Libero, un servizio sulle comunità energetiche di Villanovaforru e Ussaramanna 

https://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-c199c86f-dbb5-4f15-b839-16188b6e3519.html#p=

Comunità Energetiche Rinnovabili: tutte le novità sul recepimento della Direttiva RED II

Il Manifesto Sardo - La vera transizione attraverso l'autoproduzione e la democrazia energetica

Solare B2B - Due nuove comunità energetiche con oltre 100 soci

Algherolive.it - La vera transizione attraverso l'autoproduzione e la democrazia energetica

ANSA - Costituite in sardegna due comunità energetiche rinnovabili