sabato 3 marzo 2018

Proposte ambientaliste ai candidati

Agenda ambientalista 2018 per la ri-conversione ecologica del Paese:
Proposte per la XVIII legislatura

La situazione globale è sempre più critica: la pressione umana nei confronti dei sistemi naturali e i modelli economici perseguiti dalle nostre società sono ormai insostenibili. I prossimi cinque anni sono fondamentali per avviare nel concreto un’impostazione economica capace di mantenere l’azione umana entro i limiti biofisici dei sistemi naturali del nostro pianeta nel rispetto dell’equità e della prosperità per ogni essere umano. Abbiamo un estremo bisogno di visioni e azioni innovative, capaci di affrontare il futuro e avviare concreti percorsi di sostenibilità del nostro sviluppo.

L’Italia è un paese del G7 e può e deve svolgere un ruolo importante in questo contesto, anche per contribuire alla concretizzazione dell’Agenda 2030 con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che tutti i paesi del mondo hanno sottoscritto alle Nazioni Unite nel 2015. Pertanto dobbiamo essere capaci, in particolare deve esserlo la politica, di creare le condizioni per un nuovo modello economico che sia finalmente in grado di dare valore alla ricchezza del capitale naturale che costituisce la base del nostro benessere e del nostro sviluppo ed è un asset strategico fondamentale per il futuro del nostro Paese. In questo quadro è’ indispensabile che finalmente si costruisca anche in Italia un nuovo Patto Sociale basato sulla sostenibilità e che consideri come inscindibili la dimensione ecologica e quella economica e sociale dello sviluppo.

Su scala internazionale la comunità scientifica è giunta a definire uno Spazio Operativo Sicuro (Safe Operating Space, SOS) per l’azione umana mantenendosi tra i confini planetari ambientali e le basi fondamentali che caratterizzano la dignità umana. E’ necessaria quindi una visione di lungo periodo che abbandoni l’assunzione di un’infinita espansione dei consumi di energia, di materie prime e di trasformazione dei sistemi naturali e che, attraverso la revisione degli obiettivi di impresa, di pubblica amministrazione, di comunità, consideri le nostre città, i nostri territori e il nostro pianeta come casa comune e luogo per realizzare un benessere equo e sostenibile.
Diventa perciò fondamentale, da un lato, ridurre consumi non necessari, a cominciare dalla progressiva eliminazione dei materiali “usa e getta” (carta, plastica), in particolare nel packaging, e, dall’altro, agire sui processi produttivi conducendoli a imitare i processi circolari della natura che con la tradizionale impostazione economica sono stati resi di fatto processi lineari, alla fine dei quali si producono scarti, rifiuti e inquinamento. Sia nel settore pubblico che in quello privato si sta cercando di affermare una contabilità nazionale, territoriale e d’impresa capace di considerare pienamente l’impatto delle attività umane sul capitale naturale e di fornire misure più adeguate della performance economica misurata attraverso il PIL, in grado di cogliere anche il benessere delle persone e la dinamica degli ecosistemi. 


Tutto ciò in coerenza con gli accordi della comunità internazionale, in particolare per quanto riguarda l’applicazione dell’Agenda 2030 e dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici; a contribuire all’attuazione della Strategia nazionale per lo Sviluppo Sostenibile presentata all’High Level Political Forum delle Nazioni Unite del luglio 2017 e che, con il coordinamento della Presidenza del Consiglio, è necessario sia declinata in azioni concrete e efficaci per raggiungere gli Obiettivi dell’Agenda 2030
Nell’ultimo scorcio della passata legislatura, l’Italia ha cercato affannosamente di stare al passo con gli impegni internazionali, mettendo a consultazione le prime bozze delle Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile e del Piano Nazionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici, non corredandole però di un elenco di priorità e di una dotazione di risorse dedicate che li rendesse davvero efficaci.
Inoltre, è stata approvata, finalmente, la nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN) – per superare la vecchia e inattuale strategia sul tema, presentata all’inizio del 2013, che aveva una spiccata e inattuale impostazione ancora a favore dei combustibili fossili. La nuova SEN della fine del 2017 dichiara l’obiettivo di uscire dall’utilizzo del carbone entro il 2025, un proposito molto positivo, ma si deve rilevare che ancora non viene tracciata una concreta strategia a lungo termine, viene previsto un uso eccessivo del gas, e si è ancora timidi in una decisa e dichiarata scelta su rinnovabili e mobilità elettrica. 

Proprio per sollecitare l’innovazione in campo economico, sociale e ambientale, già in occasione delle consultazioni per la definizione del programma di Governo, a seguito delle elezioni nazionali del 2013, le più importanti associazioni di protezione ambientale riconosciute, che avevano interloquito in campagna elettorale con le maggiori forze politiche, presentarono unitariamente le proprie proposte e richieste prioritarie raccolte nella prima Agenda Ambientalista per la ri-conversione dell’Italia. 
Nella XVII legislatura appena conclusa abbiamo assistito ad alcune innovazioni normative che hanno fatto registrare il consenso di ampie e alle volte inedite maggioranze parlamentari, costituendo un passo avanti nella civiltà giuridica del Paese (basti pensare all’introduzione dei cosiddetti ecoreati nel Codice Penale o alla riforma di ISPRA e delle agenzie regionali per l’ambiente ai fini dell’istituzione di un sistema efficace di controlli ambientali), mentre purtroppo, ancora una volta si è accuratamente evitato di andare a colpire o almeno ridimensionare i “vested interest”, gli interessi particolari consolidati dei grandi player energetici, dei concessionari autostradali, del mondo più arretrato nel settore dell’edilizia.

Nella legge n. 221/2015, sono stati introdotti, inoltre, alcuni strumenti importanti per consentire all’amministrazione dello Stato di raggiungere l’obiettivo di un modello economico più sostenibile basato sull’uso razionale delle risorse, con l’istituzione del Comitato nazionale per il capitale naturale - che, a partire dal 2017, ha redatto un rapporto annuale sullo stato del capitale naturale del paese e di valutazione degli effetti delle politiche pubbliche sul patrimonio naturale , documento inserito nell’ambito della programmazione economica nazionale - e del Catasto dei sussidi ambientalmente favorevoli e sfavorevoli, nonché con la definizione della delega al Governo per la valutazione dei pagamenti per i servizi ecosistemici. Infine, sono stati individuati in via sperimentale nel DEF 2017 i primi quattro indicatori di Benessere Equo e Sostenibile (BES), richiesti dalla riforma della contabilità pubblica del 2008, che con il Decreto Ministeriale del MEF del 16 ottobre 2017 sono stati portati a 12.
Si tratta di primi passi avanti, che rivelano una timida e tardiva maturazione del nostro apparato pubblico, che però devono riscontrare una continuità e un rafforzamento nella nuova legislatura, essendo ancora solo nella loro fase iniziale di rodaggio e assestamento. Come spesso succede in Italia, ci si attende che accanto al consolidamento ci sia un’effettiva, leale e produttiva collaborazione e integrazione, considerato che anche su altri aspetti entrati prepotentemente nell’Agenda politica del Paese, quali quelli indotti dai fenomeni estremi indotti dai cambiamenti climatici, che tante perdite economiche e di vite hanno provocato e stanno provocando nel nostro Paese, ancora si stenta a trovare un sistema veramente efficace di integrazione tra le stesse strutture centrali (Strutture di Missione “Italia Sicura” e “Progetto Casa Italia” con il gruppo di lavoro tecnico per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici) preposte a contrastare la quotidiana emergenza.
Emergenza permanente, o meglio nuova normalità che difficilmente si può attribuire solo ai “fenomeni naturali”. Nel 2016 ISPRA aveva calcolato in oltre 800 milioni di euro il prezzo massimo annuale che gli italiani potrebbero pagare dal 2016 in poi per fronteggiare le conseguenze del consumo di suolo degli ultimi 3 anni (2012-2015). Un consumo del suolo che procede nel nostro Paese al ritmo di 30 ettari al giorno, 3 metri quadrati ogni secondo che passa, con un’espansione urbana nel territorio del nostro Paese che dall’1,8% degli anni ’50 è salita al 7,6% del 2016, arrivando sino al 10% del nostro territorio nazionale se si calcola anche la infrastrutturazione. Tutto questo mentre il fenomeno dell’abusivismo prosegue, stabile, senza veri ravvedimenti, come viene rilevato dall’ISTAT: nel 2012 si edificavano 14 costruzioni abusive ogni 100 autorizzate; al 2016 la proporzione è arrivata quasi 20 ogni 100 (di cui 48 ogni 100 nel Mezzogiorno: un terzo dell’edificato del Sud Italia è di fatto abusivo!). 


E il consumo del suolo rende progressivamente irriconoscibile il nostro Paese, intaccando i beni comuni rappresentati dal capitale naturale, paesaggistico, culturale. Oggi non si può tracciare in Italia un cerchio di 10 km di diametro senza incontrare un’area urbana e dal 1950 al 2000, nella fascia di 1 km dai Siti, tutelati dall’Europa attraverso la Rete Natura 2000, l’urbanizzazione è salita da 8.400 ettari a 44.000, con un incremento medio del 420% (come ricorda il Dipartimento DICEAA dell’Università de L’Aquila). Una pressione antropica che nella disordinata polverizzazione dell’edificato in aree vastissime (sprinkling) assedia le aree di maggior pregio, come conferma anche l’ISPRA che rileva come all’interno delle aree protette siano stati consumati ad oggi già 32.800 ettari.
L’Italia ha difficoltà ancora ad avventurarsi sul terreno innovativo della pianificazione urbanistico-ambientale e della progettazione delle green infrastructure, appesantita dai marchingegni, voluti dagli interessi consolidati nei settori industriali e dell’edilizia, richiamati all’inizio, che hanno puntato anche nella passata legislatura all’indebolimento delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale (decreto legge Sblocca Italia e Riforma della PAC), alla ipersemplificazione delle autorizzazioni a costruire ( la c.d. Riforma Madia), al depotenziamento delle procedure di valutazione ambientale (riforma della VIA opacità della VINCA su piani e programmi). 

Si è anche restii dall’emanciparsi dai grandi players, “para-statali” (ENI e ENEL in primis), e dai concessionari in campo energetico e autostradale (come ha dimostrato il cosiddetto decreto legge Sblocca Italia e l’inutile referendum sulle trivellazioni offshore) e ad abbandonare la vecchia idea che l’ambiente e la salute siano variabili indipendenti dalle politiche e dai piani dei capitani di industria (basti ricordare i 10 decreti ILVA e l’ultimo Decreto Ministeriale sulla tempistica del risanamento e della bonifica ambientale).
Eppure c’è un’Italia che già oggi non solo pensa, ma vive il futuro. Un Paese che concretamente sta già dando con convinzione il suo contributo fattivo alla ri-conversione ecologica del Paese. Nel rapporto Green Italy 2017 curato dalla Fondazione Symbola e Unioncamere si ricorda che sono 355 mila, infatti, le imprese italiane dell’industria e dei servizi con dipendenti che hanno investito nel periodo 2011-2016, o prevedono di farlo entro la fine del 2017, in prodotti e tecnologie green. In pratica più di una su quattro, il 27,1% dell’intera imprenditoria extra-agricola con dipendenti. E nell’industria in senso stretto sono più di una su tre (33,7%).
La green economy è, quindi, per una componente considerevole delle nostre imprese, un’occasione còlta. Solo quest’anno, anche sulla spinta dei primi segni tangibili di ripresa, ben 209 mila aziende hanno investito, o intendono farlo entro la fine del 2017, sulla sostenibilità e l’efficienza, con una quota sul totale (15,9%) che ha superato di 1,6 punti percentuali i livelli del 2011 (14,3%).
L’Agenda Ambientalista 2018 con le sue proposte vuole costituire un contributo alla ri- conversione ecologica del Paese rivolto alle forze politiche che si confrontano nella campagna per le elezioni nazionali 2018 e in vista del confronto sul programma del nuovo Governo con il Presidente del Consiglio, che sarà incaricato.

Le 23 Associazioni promotrici dell'Agenda Ambientalista 2018 sono:

Accademia Kronos, AIIG, Associazione Ambiente e Lavoro, CTS, ENPA, Fare Verde, Federazione Pro Natura, FIAB, Forum Ambientalista, Greenpeace Italia, Gruppo di Intervento Giuridica Onlus, Gruppi di Ricerca Ecologica, Italia Nostra, Legambiente, LIPU, Marevivo, Mountain Wilderness, Rangers d'Italia, SIGEA, Slow Food Italia, TCI, VAS, WWF.



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