Intervista rilasciata a Matilde Spadaro, redazione del sito di Italia Nostra
Se c’è una storia che ha messo a nudo le contraddizioni dell’Italia di fronte al mondo è quella della produzione di materiali bellici della RWM di Domusnovas in Sardegna. Il principio stabilito dalla Nostra Costituzione per il quale l’Italia ripudia la guerra non sembra albergare qui, nella zona che ospita la più grande fabbrica di bombe d’Europa. A sostenere però l’impostazione data dai padri fondatori della Repubblica in questo angolo di territorio è la posizione assunta da un grande coordinamento di associazioni e rappresentanti territoriali che da anni si battono affinchè la produzione di ordigni bellici destinati alle guerre del mondo conosca una riconversione. Oltre ai problemi etici e morali, attestati in tanti servizi televisivi e sui quotidiani di tutto il mondo, ci sono i problemi ambientali, quelli relativi alla regolarità urbanistica, quelli dei contributi pubblici utilizzati per la costruzione della strada che giunge all’impianto, quelli della ricaduta lavorativa reale sul territorio. Un coacervo di questioni che si uniscono in un intreccio indissolubile che ha preso origine dall’assenza di un piano per la riconversione dell’allora impresa S.E.I. Società Esplosivi Industriali S.p.A., attiva nella produzione di ordigni per l’impresa mineraria e poi passata in gestione alla RWM Italia. Ora, con lo stigma di paese fornitore di ordigni utilizzati nella guerra in Yemen da parte dell’Arabia Saudita che ha connotato il nostro Paese grazie al commercio di bombe ivi prodotte, sarebbe giunto il momento di dare una svolta decisa alla questione.
Ne parliamo con Graziano Bullegas, Presidente di Italia Nostra Sardegna, in prima fila per la battaglia sulla riconversione della produzione della RWM.
D.) Iniziamo dai fatti più recenti. Nonostante la serrata imposta per il distanziamento sociale utile a contrastare la diffusione del coronavirus, la RWM sta procedendo con i lavori di ampliamento.
R.) Nella prima metà di marzo gli uffici del SUAP del comune di Iglesias sono stati più che mai attivi nell’istruire numerose pratiche relative all’ampliamento dello stabilimento di Domusnovas-Iglesias. La strategia utilizzata è quella dello “spezzatino”, ormai collaudata negli anni. Non si presenta una istanza univoca e un piano attuativo, ma più richieste per singoli interventi in modo da impedire una visione generale dell’intervento in atto, eludere pareri di natura regionale molto più complessi e soprattutto esigenti dal punto di vista delle documentazioni aggiunte. Prima presentano la richiesta di effettuare lo scavo, poi quella per la strada, poi quella per i basamenti sul terreno, e infine quella per la cabina elettrica, la cosa e’ estenuante. Si pensi che andiamo avanti così dal 2017 con oltre venti richieste presentate! Appare veramente assurdo che nel pieno di una crisi epocale, che trova gli ospedali sardi sguarniti perfino delle mascherine per proteggere i medici che curano i contagiati in terapia intensiva e negli stessi ospedali e nelle case di cura la gente si ammala e muore, mentre tante aziende reinventano la loro produzione per adeguarla ai nuovi e più impellenti bisogni imposti da questa crisi sanitaria epocale, in Sardegna si prosegua imperterriti nell’ampliamento di una fabbrica al fine di incrementare la produzione di strumenti di distruzione e di morte, con il beneplacito di enti e amministrazioni locali e regionali.
D.) Sono anni che vi state occupando della questione. A che punto è il ricorso al Tar che avete presentato?
R.) Abbiamo presentato un ricorso al Tar nel Gennaio 2019 sul quale abbiamo predisposto motivi aggiunti in quanto l’impossibilità di avere la documentazione ci ha condotto a poter sottoporre delle integrazioni al Tribunale soltanto in un secondo tempo. A Novembre 2019 risale il ricorso straordinario rivolto invece al Presidente della Repubblica. Tutte le richieste di accesso agli atti di norma vengono rigettate e molte informazioni le abbiamo tratte dalla documentazione acclusa al progetto riguardante una parte dello stabilimento sottoposto a VIA. Ma basterebbe un sopralluogo nel cantiere per rendersi conto dei danni prodotti al paesaggio dalla movimentazione terra, dalla creazione di terrapieni e di nuovi altipiani, dalle impressionanti modifiche apportate alla morfologia del terreno ed al paesaggio in generale, per capire che quell’intervento non poteva essere autorizzato in quel luogo e con le modalità seguite. Insomma, una alterazione irreversibile e paesaggisticamente non mitigabile del territorio tanto da fargli perdere del tutto il suo originario aspetto.
D.) Considerate tutte queste situazioni, la questione si pone su un piano connotabile dal punto di vista di opportunità più squisitamente politiche e di comportamenti precipuamente istituzionali. Qual è la sua opinione in merito?
R.) Viviamo in una sorta di anomalia completa. Qesto grazie ad una certa “benevolenza” generalizzata. Come si è denunciato da tempo, quella fabbrica rappresenta un serio pericolo per la pubblica incolumità e per la salvaguardia dell’ecosistema in quanto stabilimento ad elevato rischio di incidente rilevante (D.lgs 105/2015 e d.lgs 334/1999), con un Piano di Sicurezza Esterno “scaduto” da ben 9 anni e mai aggiornato all’attuale produzione di ordigni bellici. Il tutto reso ancor più insostenibile dal rilascio da parte della provincia di una autorizzazione ambientale semplificata (l’A.U.A.), simile a quella che viene rilasciata a una piccola attività artigianale, anziché l’autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.) più rigida e meno permissiva. Si pensi che la più grande fabbrica di bombe dell’Europa è autorizzata con un’autorizzazione pari a quella che ha un’autofficina! Le amministrazioni locali sono succubi sotto il ricatto occupazionale. Molte istituzioni vivono con un contributo dato a fondo perduto da questa azienda. Il tutto perché siamo nella provincia più povera d’Italia e qualsiasi “benefattore” che arriva è accolto a braccia aperte.
D.) Ma se, in teoria, questa multinazionale è portatrice di lavoro e quindi va “accolta”, perche’ si è ancora nella provincia più povera d’Italia?
R.) Infatti il dato è chiaro e parla da solo. Cento persone sono state assunte a tempo indeterminato ma l’organico è piuttosto mobile. Se le commesse arrivano allora si assumono gli interinali, altrimenti no. Il ritorno sul territorio di questa operazione non è sicuramente in grado di risollevare la situazione economica della provincia. Potrei sintetizzare dicendo: dal 2012 ad oggi, poveri eravamo e poveri siamo rimasti. Mentre la RWM sta presentando le autorizzazioni per ampliare lo stabilimento, nonostante la produzione sia ferma per COVID-19.
D.) E allora perché non si riesce a riconvertire?
R.) Perche’ la fabbrica realizza profitti enormi. La produzione di ambito civile (divisione autoveicoli e meccatronica) è stata riservata alla Germania così si limitano le contestazioni in patria. Alla RWM di Domusnovas stanno spendendo 40 milioni di euro. Eppure, da risoluzione governativa, la vendita diretta di armi all’Arabia Saudita dovrebbe essere vietata. Ma non si possono certo escludere le triangolazioni…
D.) Il futuro allora come si prospetta?
R.) Continueremo la nostra battaglia proponendo un futuro diverso alla nostra comunità, basato essenzialmente sulle bonifiche delle aree degradate dalle attività industriali e minerarie, sulla tutela dello straordinario patrimonio ambientale e paesaggistico esistente, sul rilancio delle attività primarie del nostro territorio. Siamo convinti che un’alternativa capace di creare nuovi posti di lavoro, più sicuri e dignitosi esiste, dobbiamo farla diventare patrimonio comune.
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