La Delibera del Consiglio dei
Ministri del 22 dicembre 2017, con cui è stata dichiarata la “insussistenza
delle condizioni” per la prosecuzione del procedimento autorizzatorio
relativo alla Centrale solare termodinamica (CSP) “Gonnosfanadiga”, sembrerebbe
aver messo la parola fine al destino delle megacentrali sul suolo sardo. Non
solo per gli effetti del pronunciamento in sé, comunque dirimente nel
contrasto sorto tra Ministero dei Beni Culturali (avverso alla CSP) e Ministero
dell’Ambiente (favorevole), ma soprattutto per le motivazioni poste a base del
provvedimento.
Agro di Decimoputzu - sito interessato dalla Centrale Termodinamica Solare |
Il Consiglio dei Ministri infatti ha
assunto a fondamento della decisione i contenuti delle Osservazioni che
Comitati, Associazioni, Cittadini, insieme a Regione e Comuni avevano sollevato
nei confronti di questi impianti. L’indiscriminato consumo di suolo,
l’irreversibile artificializzazione di estese superfici agricole, l’incongruo
prelievo di risorse idriche, la distruzione delle matrici ambientali, i costi
economici irrazionali, la sostituzione paesaggistica, lo stravolgimento delle
attività tradizionali, sono solo alcuni degli effetti deleteri associati a
questa tipologia di impianti.
Violando il principio della
“sostenibilità”, essi si pongono in contrasto con i contenuti degli Accordi
della Conferenza di RIO del 1992 e degli Accordi di Kyoto. In altri termini le
CSP, per le intrinseche caratteristiche e per gli impatti indotti,
restano una “tecnologia del deserto” (definizione dello stesso ENEA), da
confinarsi in tali ambiti geografici.
Desta sconcerto il fatto che analogo
provvedimento di bocciatura non sia stato adottato dal Consiglio dei Ministri
nel corso della medesima seduta per l’impianto di “Flumini Mannu”, una
Centrale gemella prevista a breve distanza dalla precedente, il cui iter
amministrativo risultava antecedente. L’aporia procedurale, non
giustificabile in termini di trasparenza amministrativa, sembra non trovare
altra possibile spiegazione se non in pressioni da parte di quei gruppi di
potere così attivi in questi due procedimenti di VIA. In tal modo la “residua
spes” resterebbe im..boscata sotto compiacenti faldoni in attesa
del resurgit in tempi meno avversi.
Su analoghi procedimenti in corso
nella nostra Isola sembrano aleggiare sospetti di condizionamenti. La Regione
Sardegna aveva infatti da tempo manifestato la sua aperta avversione alle
Megacentrali. Oltre le motivazioni sopra esposte soccorrevano gli espliciti
indirizzi del Piano energetico, orientato alla produzione diffusa ed
all’autoconsumo, le cogenti norme di attuazione del Piano Paesaggistico che
tutelano il paesaggio agrario, le strategie di valorizzazione dei territori
rurali, la conservazione dell’ambiente pietra d’angolo annunciata della
politica regionale.
Ne erano conseguite azioni esplicite:
la dura presa di posizione assunta a Roma nei confronti delle CSP campidanesi,
la bocciatura in fase di scoping delle CSP proposte nell’agro di
Cossoine e di Uta. Se si vanno a leggere le motivazioni riportate nel
documento che bocciava la CSP “Su Coddu de sa Feurra”, proposta dalla
Sardinia Green Island in agro di UTA (Macchiareddu) e stilate dal Servizio di
valutazione ambiente (SVA – novembre 2015 – prot. 25534), si resta
sorpresi dalle assonanze al limite della citazione tra quelle e le Osservazioni
sollevate negli atti oppositivi delle Associazioni ambientaliste.
Sit in davanti al Consiglio Regionale |
Com’è dunque possibile, viene da
chiedersi, che a distanza di meno di due anni lo stesso SVA (il medesimo
funzionario!), capovolga in senso diametralmente opposto tali motivazioni,
dichiarando la compatibilità ambientale della Centrale di San Quirico? A
lasciare viepiù stupiti si aggiunge il fatto che si tratta di un impianto
ibrido, essendo prevista anche una centrale a biomasse, i cui effetti
devastanti per ambiente e salute erano stati denunciati più volte dal
compianto Migaleddu (ISDE).
Vale rammentare che anche la
precedente Giunta Regionale (Delibera 52/41 del 23.11.2011) aveva
bocciato un’altra CSP (non ibrida), proposta da Sorgenia in località
Macchiareddu (area industriale), sulla base di negative valutazioni sugli
effetti delle polveri per la salute dei residenti e le attività agricole. Né
vanno dimenticate le Osservazioni dello stesso Corpo Forestale Regionale
in merito al reperimento e al consumo delle ingenti quantità di biomasse,
che vanificherebbero di fatto la decantata riduzione di CO2
e influirebbero negativamente sulle attività agricole delle aree buffer,
tra cui spicca per importanza ed esemplarità una Azienda-Fattoria didattica.
L’irrazionalità interna della
Delibera con cui la Giunta avalla la compatibilità ambientale dell’impianto di
San Quirico, il contrasto con tesi e posizioni manifestate in analoghi procedimenti,
le incongruenze nell’individuazione dell’iter amministrativo, sono di così
lapalissiana evidenza da non lasciar dubbi sugli esiti dell’inevitabile
contenzioso che ne scaturirà.
Ha senso interrogarsi sul volto
nascosto di tale ambiguità politica? La risposta sfugge alla razionalità dei
tecnicismi e si colloca in quel gioco di taciute intese, a Roma come a
Cagliari, fertile humus da cui la politica trae continua linfa.
Azienda Agricola da espropriare |
Le CSP sono impianti con tecnologie
sofisticate, gestite da gruppi imprenditoriali circoscritti ed è per questo
che, dietro la caleidoscopica distorsione delle società di scopo, emerge
un disegno coerente di un potere economico, che tenta di condizionare quello
politico. Si tenta di rimuovere l’imprevisto ostacolo, costituito da quella
parte dei Sardi che col tempo è andata prendendo coscienza delle problematiche
ambientali e delle potenziali devastazioni legate alle CSP, riducendo la
scala dell’intervento e celando gli impatti con relazioni progettuali al limite
della falsificazione. Gli incentivi di Stato sulle rinnovabili e in particolare
sul termodinamico sono un boccone a cui i nuovi mentori del verde hanno a lungo
lavorato nel sottobosco delle aule parlamentari perché ora vi si possa
rinunciare!
Così può dunque spiegarsi la strategia
di ripiegare su impianti di media taglia, localizzati in aree di ridotte
dimensioni che la cecità di proprietari, inconsapevoli quando non conniventi,
rende disponibili, evitando così alla Regione l’impopolare pratica
dell’esproprio. Se tali ipotesi dovessero trovare riscontro si aprirebbero per
la Sardegna scenari a dir poco devastanti. Tutti i risultati fin qui conseguiti
da Associazioni e Comitati in tema di tutela ambientale rischierebbero di
essere rimessi in discussione, perché analoghi impianti potrebbero essere
riproposti dopo essere stati rimodulati in taglie medie e localizzati a macchia
di leopardo.
E’ all’interno di questo scenario che
San Quirico assume il valore di una verifica, lo spiraglio aperto di una
finestra da cui si tenta di far rientrare, ciò che a pieno titolo è stato
cacciato dalla porta. Una strategia che però non ha alcuna possibilità di
successo, perché a quella “sostenibilità declamata” dalla Regione,
Ambientalisti e Collettività oppongono una “sostenibilità forte”, fondata sul
valore non negoziabile dell’Ambiente, Bene Comune per eccellenza, e sulla
infungibilità del capitale naturale.
Anni di lotte, in continuo dialogo
con le Collettività, hanno ormai generato una sensibilità diffusa sulle
tematiche ambientali con la quale l’autoreferenzialità della politica dovrà
fare i conti. A San Quirico, come a Palmas Arborea, a Oristano come a
Gonnosfanadiga, a Villasor come a Decimoputzu, a Guspini come a Villacidro, a
Cossoine come ad Arborea, Amministrazioni e Cittadini attraverso il
dissenso democratico si oppongono all’arbitrio di un potere politico la cui
ipoacusia istituzionale ha ormai raggiunto livelli di pericolosa cronicità.
Lo si è potuto constatare nella
vicenda del disegno di legge sul Governo del Territorio, allorché frustuli
partecipativi sono andati materializzandosi in beceri questionari. La palese
violazione dei princìpi della Convenzione di Aarhus (Dlgs.n.108 del 16
marzo 2001), che sancisce l’obbligo di partecipazione dei Cittadini ai processi
decisionali in materia ambientale, evocata nella sentenza del Tar Sardegna
sulle Serre di Narbolia, ha indotto la stessa Adiconsum ad affiancare le
rappresentanze civiche in questa surreale contrapposizione tra Collettività e
rappresentanza politica.
Per la prima volta si apre in
Sardegna la possibilità di una class action prom
Mauro Gargiulo - Referente per le tematiche
dell’Energia di Italia Nostra Sardegna
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