mercoledì 29 marzo 2017

25 marzo 2017: una giornata particolare



Sabato 25, piove governo ladro! Mi alzo all’alba, da Sassari devo raggiungere il Campidano. I “comitatini”  organizzano una manifestazione contro i due progetti del termodinamico solare. “Non puoi mancare mi hanno detto”  e io tra questi compagni di lotta sono a casa, mi ci sento libero. La partecipazione è libertà. Solo con i miei pensieri, mentre il paesaggio mi accompagna. Mi fa star  bene il solitario scivolare tra  campi umidi  in tacito colloquio: il paesaggio è luogo dell’anima! Forse è per questo che lo si vuole cancellare.

Mi accoglie la dolce culla di Campu Giavesu: tra progetti di centrali e impianti realizzati di finte serre fotovoltaiche ha rischiato di sparire,  non fosse stato per i  Cossoinesi. E’ cominciato tutto qui, quattro anni fa,  a Cossoine! Una comunità di poche anime ha detto NO al termodinamico. Ero fuori del seggio nella sera ventosa  in cui si teneva il referendum consultivo. Evocazione epica di una democrazia partecipativa.
E i polites c’erano tutti: giovani balentes, uomini reduci dai campi, anziane donne.  “La posso aiutare” mi è venuto di dire ad una di esse che faticava a uscire dall’auto. “Io a lei non la conosco” e ha cercato un braccio noto che la sorreggesse. Poi l’emozione dello spoglio e il plebiscito per il NO. Il veleno sputato dalla multinazionale non si era fatto attendere. La Sardegna voltava ancora una volta le spalle al progresso e alla civiltà, attardata dai suoi miti, impantanata nel  suo arcaismo e giù una richiesta di risarcimento miliardario per i mancati guadagni per un quarto di secolo a venire.
Mauro Gargiulo
Come se fosse un dovere svendere i  sogni, come se fosse un diritto riscuotere una presunta svendita! Ma avevano solo sondato il terreno, era il Campidano la vera preda, le terre tra Villasor e Guspini. Lì si stendeva una piana a loro dire in via di desertificazione, di nullo prezzo, abitata da pastori e agricoltori rozzi ed incolti,  che attendeva solo d’essere coperta da un mantello di specchi parabolici, da tubi percorsi da fluidi incandescenti, da serbatoi  alti dieci piani, da ciminiere,  torri metalliche ventilate, turbine, alternatori, evaporatori.
Questo inferno di tubi e cemento avrebbe mostrato a emiri e colonnelli arabi che l’Impresa italica non è solo una filiazione di Mattei, ma anche un parto di Rubbia. In Regione però le cose non prendono la piega prevista: non passa l’idea che la colata di  cemento e la spalmatura di vetro sui seicento ettari di suolo agricolo sia immune da  impatto ambientale. Allora si ricorre alla soccorrevole stampa servile: pastoie burocratiche, ostacoli al Fare, l’Italia da sbloccare!
Segue un gioco di prestigio sui numeri e i due impianti, quasi a sfregio denominati “Flumini Mannu” e “Gonnosfanadiga”, con la potenza fraudolentemente triplicata, passano per  competenza  a Roma: la meta agognata, il porto delle nebbie! E’ lì, al Ministero cosiddetto dell’Ambiente, che va in scena la farsa del procedimento di VIA: le decine di Osservazioni, le Relazioni avverse dei tecnici dei Beni Culturali, della Regione, dei Comuni, vengono ignorate. In poche e insulse pagine una Commissione priva di qualsiasi competenza specifica si pronuncia  per la sostenibilità ambientale.
Un momento della manifestazione

Esulta l’Impresa, gioisce la multinazionale: l’ultima parola sull’impatto ambientale è finalmente  nelle mani del Consiglio di Ministri, esito di quella mala politica che si ostina a voler decidere del destino di uomini e territori! Una sentenza già scritta, se non fossimo oggi qui  unidos a urlare ancora NO, come a Cossoine, come a Quirra, come a Porto Torres, come a Ottana, come ad Arborea, come a Furtei, come alle Scorie Nucleari, come a Portovesme, No e sempre NO  allo scempio della Sardegna.
Giungo a Gonnos sotto la pioggia. Il tempo non aiuta ma arrivano in tanti alla spicciolata. Cerco un riparo e mi ritrovo accanto una signora anziana, i capelli raccolti nel fazzoletto, lo sguardo acuto. “Anche lei alla manifestazione “ le dico. “Non lo faccio per me, io sono vecchia, lo faccio per i giovani”. Le sfioro il braccio, come in cerca di sostegno. Vecchia! si può essere vecchi con questi pensieri nel cuore? La partecipazione è amore. Ci si raduna e siamo in molti.
Il terrore di un flop è scongiurato. Si percorre il paese. Mi ritrovo accanto una mamma con un bimbo di pochi mesi tra le braccia, che dorme. “Tu però ci sei” mi viene da pensare. Poi i discorsi dei tanti che sono presenti. Mi chiedono di chiudere gli interventi. Cosa dovrò dire, cosa potrò dire. Delle terre che si vogliono vigliaccamente sottrarre con gli espropri e dei soprusi patiti, dei suoli che si intendono sconvolgere per sempre, delle riserve idriche da sperperare in un paese afflitto da sete perenne, di quella piana non più pascolo di greggi, ma inferno di calore e specchi: ancora una volta “niente più come prima”!
Troppe parole per una manciata di secondi. Al microfono farfuglio frasi smozzicate. Bastava portarmi accanto la signora e il bambino: sarebbe stato lampante e tacito il concetto di sostenibilità ambientale. Chiudo con un appello a lottare per  “questa nostra terra”. Ma come sempre mi capita, il possessivo mi si smorza in gola. Anche quello è un esproprio sulle labbra  di un accudito.
Rientro di corsa a Sassari. C’è la manifestazione di protesta per il raid fascista di Casa Pound. Il corteo sfila per tutta  la città urlando slogan che mi riportano indietro di 40 anni. Ritornano fantasmi che pensavo dissolti. Dove ci sta portando questa mala politica? Dove ci vuole portare? Ancora e sempre nebbie! Ci sono momenti di tensione. Ho mia figlia tra gli organizzatori, che tenta di far scudo  tra i più bellicosi.
Uno scricciolo che non piega erba con il piede. Quante vite dovrò vivere per saper leggere la trama delle fibre di cui è tessuto il cuore di una donna sarda!

 di Mauro Gargiulo*

*Mauro Gargiulo è il delegato per le tematiche energetiche di Italia Nostra Sardegna
Campagne di Gonnosfanadiga

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