ultim'ora
Ieri 17 aprile 14 milioni di Italiani hanno detto che bisogna cambiare politica energetica, hanno ricordato al governo dei petrolieri gli impegni assunti alla conferenza sul clima di Parigi (COP21) del dicembre scorso e soprattutto hanno scelto di partecipare e di essere cittadini interessati ad esercitare i propri diritti democratici.
Anche un terzo degli elettori della Sardegna (410mila) hanno lanciato un messaggio chiaro al governo regionale perchè siano fermate le concessioni di ricerca e di estrazione di idrocarburi e perchè ci si avvii senza esitare e senza compromesso verso la decarbonizzazione dell'isola
Il presidente
della Corte Costituzionale invita al voto per il referendum
Paolo Grossi, il presidente
della Corte costituzionale, a favore della partecipazione alla consultazione
del 17 aprile: "Partecipare significa essere buoni cittadini, poi ognuno è
libero di farlo nel modo in cui ritiene giusto".
A votare bisogna andare
sempre, anche ai referendum il cui esito è deciso dal quorum.
Partecipare alle consultazioni, recarsi alle urne “significa essere pienamente cittadini,
fa parte della carta d’identità del buon cittadino“.
Secondo Grossi alla
consultazione “si deve votare: ogni cittadino è libero di farlo
nel modo in cui ritiene giusto. Ma credo si debba partecipare al
voto”. Tutto questo mentre il Partito democratico ha dato
l’indicazione di astenersi dal voto, vari componenti di governo hanno invocato l’astensione
e lo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi ha parlato di
“posizione sacrosanta e legittima”.
Un'affermazione coraggiosa quella
del presidente della Consulta che si contrappone allo scellerato invito del
presidente del Consiglio Italiano, del presidente della Regione Sardegna e
dello stesso segretario del PD sardo che. ognuno a modo suo, invitano a
disertare le urne il prossimo 17 aprile.
Se partecipare significa
essere dei buoni cittadini, la non partecipazione o peggio ancora l'istigazione
a non partecipare non depone a favore
dei nostri governanti, che si iscrivono quindi tra i cattivi cittadini e,
aggiungiamo noi, tra i peggiori leader politici.
L'invito al non voto è un
invito a nozze per l'antipolitica alimentata dalle tante delusioni nei confronti delle
diverse leggi elettorali che si sono succedute nel tempo e che
hanno progressivamente ridotto le possibilità di “libera scelta”.
E' paradossale che queste
organizzazioni politico- partitiche che negli anni hanno perso credibilità tra
i cittadini alimentino questi sentimenti consolidando la sensazione diffusa dell’inutilità della pratica elettorale.
50 scienziati
invitano a votare SI al referendum
"Votiamo sì perché
vogliamo che il governo intraprenda con decisione la strada della transizione
energetica, per favorire la ricerca e la diffusione di tecnologie e fonti
energetiche che ci liberino dalla dipendenza dai combustibili fossili". E'
l'inizio di un appello per votare sì al referendum sulle trivelle del 17
aprile, firmato da una cinquantina di scienziati.
"Il quantitativo di petrolio e di gas
naturale fornito al nostro Paese dalle piattaforme entro le 12 miglia non
supera rispettivamente lo 0,9% ed il 3% dei consumi nazionali. Una quantità
irrisoria - prosegue l'appello -. Le rinnovabili rappresentano la prima voce di
investimento nel mondo" che nel 2015 "hanno raggiunto 329 mld di
dollari (quintuplicati rispetto a 5 anni prima). La crescita nel mondo
dell'energia elettrica prodotta da rinnovabili nel 2015 è stata dell'8,3%".
"Le stime
ufficiali (fonte Isfol) sull'intero settore di estrazione di petrolio e gas in
Italia parlano di 9mila impiegati in tutta Italia e 3mila nelle piattaforme
oggetto del referendum - sostengono i firmatari -. Un settore in crisi da
tempo. Se vince il Sì, le piattaforme non chiuderanno il 18 aprile, ma saranno
ripristinate le scadenze delle concessioni rilasciate".
"L'unico modo per
garantire un futuro occupazionale duraturo è quello di investire in innovazione
industriale e in una nuova politica energetica: tutte le previsioni parlano di
un settore delle rinnovabili in espansione, che in Italia potrebbe generare
almeno 100mila posti di lavoro al 2030".
"L'attività delle
piattaforme può rilasciare sostanze chimiche inquinanti e pericolose, come
olii, greggio (nel caso di estrazione di petrolio), metalli pesanti o altre
sostanze contaminanti (anche nel caso di estrazione di gas), con gravi
conseguenze sull'ambiente circostante", affermano gli scienziati
firmatari.
Infine, conclude l'appello,
"invitare all'astensione in una consultazione democratica è sempre un atto
di irresponsabilità civile e politica, che non può che aggravare la grande
malattia delle democrazie contemporanee: l'astensione dilagante".
Le vere
ragioni che ispirano la norma a favore dei petrolieri
Sull'argomento è
intervenuto il Cercle Europeenne pour la Troisieme Revolution Industrielle
– Third Industrial Revolution European Society (CETRI – TIRES).
I fautori del no sostengono che
non ha senso “tappare” il foro mentre c’è ancora gas e petrolio da estrarre e
inoltre dicono che una vittoria dei si sarebbe pericolosa in quanto bloccherebbe
un settore in cui siamo all’avanguardia e si creerebbero migliaia di
disoccupati.
Altri argomenti citati dai
fautori del no riguardano l’aumento delle importazioni dall’estero con il
conseguente incremento del numero di petroliere che circolano sui nostri mari e
approdano sui nostri porti. In pratica sostengono che gli effetti sull’ambiente
provocati dallo stop alle piattaforme entro le 12 miglia marine sarebbero
peggiori di quelli che produrrebbero delle piattaforme vecchie di 40 o 50 anni
che pompano gas e petrolio dal fondo del mare.
Inoltre i fautori del no
ricordano che la vittoria del si al referendum non comporterebbe un divieto
alle trivelle e nemmeno alle piattaforme oltre le 12 miglia marine. Per questo
accusano i comitati No Triv di truffare gli elettori. Ma è veramente così?
Assolutamente NO!
Posizioni molto contraddittorie
e ben confuse. Infatti da una parte sostengono che questo referendum è inutile
e non produrrà uno stop alle piattaforme e alle trivelle e che quindi
presentarlo in questo modo è falso e truffaldino, mentre dall’altra parte
dicono che una vittoria dei SI produrrebbe una catastrofe nazionale.
Insomma devono spiegare come può essere che un referendum inutile e che non
stoppa affatto piattaforme e trivelle, possa bloccare l’intero settore, far
scappare tutte le società petrolifere dall’Italia, far perdere miliardi di
investimenti, migliaia di posti di lavoro, aumentare le importazioni di petrolio
e gas dall’estero e produrre un incremento dei costi della bolletta energetica?
In pratica è come se dicessero che un moscerino che si posa su un grattacielo
ne provoca il crollo.
Inoltre i signori del no
sostengono che dalle piattaforme si estrae prevalentemente gas, ma poi dicono
che la vittoria del si producendo uno stop immediato alle estrazioni, farebbe
si che aumenti il traffico di petroliere. Tutto questo è puro allarmismo
verbale.
Intanto il gas non arriva con
le petroliere, ma con i gasdotti, e (in rarissimi casi) con le navi gasiere
in forma di Gas Naturale Liquido (LNG). Cosa c'entrano le petroliere. Comunque
in caso di vittoria dei SI gli impianti non verrebbero bloccati immediatamente
ma a termine, con l’arrivo a scadenza delle concessioni.
Ma allora perché i signori del
no raccontano queste falsità? E cosa si nasconde veramente sotto il loro
desiderio di procrastinare le concessioni? Anche perchè il referendum
interesserà in modo diretto solo diciassette concessioni da cui si estrae
il 2,1 % dei consumi nazionali di gas e lo 0,8 % dei consumi
nazionali di petrolio gas. Bruscolini che anche se dovessero venire a
mancare da un giorno all’altro, come sostengono i signori del no, (ma,
ripetiamo, NON è così) non succederebbe nulla di grave e al calo di
estrazioni si potrebbe benissimo fare fronte con un minimo di risparmio
energetico (quindi incentivando un comportamento virtuoso). Certo se invece
vogliamo continuare a sprecare energia prodotta con fonti fossili, allora non
basteranno tutti i giacimenti del mondo a coprire il fabbisogno.
Ma, come detto, la vittoria
del si non comporterà uno stop immediato delle piattaforme che, purtroppo,
continueranno a restare al loro posto fino alla scadenza della concessione e
quindi non c’è alcun pericolo per il fabbisogno nazionale e nessuna perdita di
posti di lavoro, che sono pochissimi, spesso di tecnici specializzati
stranieri, e che scadrebbero al termine del contratto.
Quindi si ritorna alla domanda
posta in precedenza: cosa temono i fautori del no? Temono tre cose.
Primo, che passi il messaggio
che possiamo fare a meno del petrolio e che possiamo produrci l’energia di cui
abbiamo bisogno in altro modo senza continuare a dare soldi ai petrolieri.
Secondo che allo scadere delle
concessioni debbano smantellare le piattaforme con costi a loro carico. Basta
dire invece che il giacimento è ancora attivo e ci terremmo per sempre quei
mostri in mezzo al mare, lasceremo alle future generazioni il costo di
smaltimento, come avviene per tante altre attività industriali dismesse, siano
esse pubbliche o private.
Terzo, che passi un altro
principio, ben più importante per loro, quello per cui le concessioni scadono.
Infatti ci sono alcune cose
che i signori del no ci tengono nascoste tentando di distogliere l’attenzione
da esse per puntarla verso la catastrofe prodotta dalla vittoria del si e la
perdita di migliaia di posti di lavoro.
Cosa sono le royalties? Sono
delle quote in denaro che le compagnie petrolifere versano ogni anno allo
stato, alle regioni e ai comuni per lo sfruttamento delle risorse petrolifere.
Infatti in Italia le risorse petrolifere sono un bene indisponibile dello
Stato, questo vuol dire che il petrolio e il gas dei giacimenti è di proprietà
pubblica: tutti noi siamo proprietari di una quota di petrolio e di gas
stoccati nei giacimenti.
Lo stato però non si occupa
direttamente di estrarre queste risorse e “concede” dei titoli di sfruttamento
di tali risorse a dei soggetti privati, i quali sostengono i costi per la
ricerca e per la costruzione delle infrastrutture necessarie alla loro
estrazione. In cambio pagano ai “proprietari” delle risorse, noi tutti, una
quota percentuale del valore di quanto estratto.
Il problema riguarda la
percentuale che viene pagata. Tale percentuale, come si può vedere dal sito
del Ministero dello Sviluppo Economico, è pari al 7% per l’estrazione di gas e
di olio a terra e del 4% per l’estrazione di olio in mare, a cui sommare una
quota del 3% da destinare al fondo per la riduzione del prezzo dei prodotti
petroliferi se la risorsa è estratta sulla terraferma o per la sicurezza e
l’ambiente se estratti in mare. Se si pensa che in altri Paesi le royalty
difficilmente scendono al di sotto del 30%, si capisce benissimo il grande
regalo che noi facciamo ogni anno ai petrolieri.
La seconda parolina magica,
come detto, è franchigia. Che cos’è? La franchigia è una quota annua di gas e
petrolio estratti da ogni giacimento sulla quale non si calcolano royalty.
Sempre dal sito del Ministero dello Sviluppo Economico si evince che le
franchigie sono pari a: 20.000 t di petrolio estratto a terra; 50.000 t di
petrolio estratto in mare; 25 Milioni di mc di gas estratto a terra; 80 Milioni
di mc di gas estratto in mare.
Questo significa che se i
titolari delle concessioni ogni anno e da ogni giacimento estraggono un
quantitativo di gas e di petrolio pari o inferiore alle franchigie non versano
nessuna royalty allo stato.
E naturalmente l’interesse dei titolari delle concessioni è quello di pagare meno royalties possibile. Ecco perché dando loro la possibilità di prorogare la durata delle concessioni fino all’esaurimento dei giacimenti, non si fa altro che dir loro: “estraete meno che potete e non versate nemmeno un Euro di royalty, tanto avete tutto il tempo che volete per sfruttare il giacimento”.
E naturalmente l’interesse dei titolari delle concessioni è quello di pagare meno royalties possibile. Ecco perché dando loro la possibilità di prorogare la durata delle concessioni fino all’esaurimento dei giacimenti, non si fa altro che dir loro: “estraete meno che potete e non versate nemmeno un Euro di royalty, tanto avete tutto il tempo che volete per sfruttare il giacimento”.
Non a caso nel 2010 la Cygam Energy, una società petrolifera canadese, in un suo dossier raccomandava di investire in Italia perché “la struttura italiana delle royalties è una delle migliori al mondo”. Tradotto: “Andiamo a trivellare in Italia perché gli italiani sono degli idioti!”
Ecco cosa si nasconde veramente sotto le trivelle ed ecco il motivo per
cui il 17 aprile bisogna andare a votare e votare SI!
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