Nascono come
funghi nelle colline e nelle pianure della Sardegna. Le chiamano wind farm o
parchi eolici: sono mostri di acciaio che svettano sulle colline e le montagne
e nelle belle giornate si vedono a centinaia di km di distanza. È il
progresso che avanza inesorabile distruggendo la nostra storia, la nostra
cultura e il paesaggio della Sardegna. Stanno
invadendo le aree agricole, le aree fertili e chiedono di arrivare oltre, fino
al mare. Vorrebbero
occupare perfino il mare con le torri
eoliche offshore: nel golfo di Cagliari, nel golfo di Palmas e perfino
nel parco dell'Asinara. Hanno
aggredito la terra, le aree coltivabili con le serre fotovoltaiche, con il termodinamico a concentrazione: altre torri in mezzo alla campagna
e centinaia di ettari desertificati per lasciare spazio a immense superfici di
specchi e acciaio. Vogliono
aggredire perfino la piana di Arborea, il
compendio di maggiore produttività e pregio zootecnico della Sardegna e uno dei
più importanti a livello nazionale. Mentre l’agricoltura
sarda è in agonia e necessita di incentivi e supporti, gli unici contributi che
arrivano sono quelli che alimentano la speculazione delle energie rinnovabili.
Si incentivano gli impianti che daranno il colpo di grazia all’agricoltura
sarda.
Area interessata dalle nuove installazioni
Qualche
giorno fa Vandana Shiva scriveva: “La più
grande sfida che dobbiamo fronteggiare oggi è la rapina dei nostri beni comuni
da parte delle multinazionali. I semi come beni comuni sono stati sottratti
tramite la privatizzazione e brevettazione, l'acqua è stata privatizzata
tramite leggi, la terra è stata privatizzata e rubata nei paesi poveri, in
India, in Africa, ma anche nei paesi ricchi a causa dell'aggravarsi della crisi
economica. Penso che in
questo momento di crisi, di crisi economica, la terra è l'unico luogo in cui
possiamo ritornare per ricostruire una nuova economia”
Sabato 20 aprile ore 17
Assemblea Pubblica di sensibilizzazione contro l'installazione di un Parco Eolico sotto Monte Sirai!
Coordina Sara Marroccu - NED
Interverranno tra gli altri:
Prof. Piero Bartoloni con una lettera di sostegno all'iniziativa - Archeologo,
Direttore degli scavi a Monte Sirai e direttore Museo Archeologico di
Sant'Antioco
Giuseppe Casti - Sindaco di Carbonia Salvatore Cherchi - Presidente della Provincia Carbonia-Iglesias Emanuele Cani - Deputato Partito Democratico- Mauro Esu - Ass. Urbanistica del Comune di Carbonia Loriana Pitzalis - Ass.Cultura del Comune di Carbonia Pietro Cocco - Consigliere Regionale Partito Democratico Giovanni Tocco - Presidente Commissione Ambiente della Provincia Antonio Caggiari - Presidente Commissione Ambiente Comune di Carbonia Cinzia Grussu - Vicepresidente Commissione Ambiente Comune di Carbonia Graziano Bullegas - Presidente Regionale "Italia Nostra" - Roberto Puddu - Segretario Generale Camera del Lavoro Sulcis Iglesiente Teresa Diana - Coop. Mediterranea Operatori del settore turistico-culturale Associazioni, Cittadini che vogliono difendere il nostro territorio
Si
incomincia con l’attività di ricerca ed esplorazione di giacimenti metaniferi
nel territorio di Arborea e si finisce con la petrolizzazione del territorio di
Arborea, zona di punta dell'agricoltura della provincia di Oristano e della
Sardegna e emergente area turistica. Già a marzo del 2012 la sezione Sinis Cabras Oristano dell’Associazione Italia Nostra, in fase di screening ambientale, ha presentato motivate osservazioni al SAVI evidenziando alcune criticità che si riportano in sintesi:
1)Il progetto
prevede l'estrazione di idrocarburi gassosi in un'area abitata, i cui nuclei
abitativi più prossimi sorgono tra 410 e 420 metri dall'epicentro dello scavo e
con una forte presenza di aree protette (SIC e ZPS e Important Bird Area) per
la tutela della biodiversità: stagno di S’Ena Arrubia, di Corru S’Ittiri, di
Santa Giusta, di San Giovanni, di Marceddì, Cirras, di Cabras e gli stagni di
Oristano, S'Ena Arrubia.
2)La Saras non
analizza mai il suo progetto in un ottica a lungo termine. Come detto, dopo il
pozzo preliminare, vengono quelli permanenti ed inevitabile infrastruttura
pesante di trattamento che necessariamente avranno bisogno di risorse e di
spazi per crescere. In Basilicata ad esempio, l’industria petrolifera si è via
via espansa arrivando ad installare pozzi di petrolio ed oleodotti finanche
dentro a parchi nazionali e nei pressi di ospedali. Il progetto Saras già solo
per la costruzione di un pozzo preliminare prevede il riadattamento di una
pista ciclabile in una strada adibita al traffico di camion e cisterne,
aumentando dunque traffico, emissioni inquinanti, smog. Cosa comporterà allora
l’estrazione permanente di gas naturale?
3)La possibilità di inquinamento delle
falde idriche in seguito alle operazioni di trivellamento del pozzo esplorativo
è reale con possibili migrazioni dei fluidi di perforazione – inquinanti e
tossici - che potrebbero intaccare le falde idriche. Questo fenomeno è già noto
in letteratura, in particolare in Basilicata, dove diverse sorgenti idriche
millenarie sono state chiuse in anni recenti a causa della contaminazione da
rifiuti petroliferi. Nel progetto si parla anche di ben 5 vasche per il
contenimento di rifiuti tossici a cielo aperto, come illustrato dalle immagini
a pagina 28 del progetto, che potrebbero riversare materiale tossico, in caso
di incidenti o piogge, quali che siano le condizioni meteorologiche e che di
sicuro porteranno con se forti esalazioni.
4)La qualità dei
prodotti agricoli di Arborea e dei suoi dintorni è eccellente, grazie ai suoi
fertilissimi terreni. Qui si producono fragole, carote, angurie, finocchi,
insalata, cavoli, cipolle, pomodori, meloni, patate, zucchine. Gli agricoltori
sono riuniti in varie cooperative fra cui la Cooperativa Produttori Arborea: i
prodotti agricoli della zona sono conosciuti in tutta Italia e il loro marchio
è garanzia di qualità. L’area è immersa in una folta pineta, vi sono vari
percorsi naturalistici e nel comprensorio sorgono decine e decine di
allevamenti di bovine da latte unite sotto la Cooperativa 3A che produce latte
di Alta Qualità e prodotti lattiero-caseari. I bovini vengono abbeverati
direttamente dai pozzi artesiani che attingono dalle ricche falde acquifere
della zona. Oltre alle possibilità di inquinamento delle falde, ci sono i
possibili danni d’immagine sia per i derivati lattiero-caseari che per i
prodotti agricoli che sono il perno dell’attività economica di Arborea.
5)La Saras non affronta
il problema possibile della subsidenza del terreno dovuta alle sue
infrastrutture e al suo pozzo estrattivo. In Italia e nel mondo ci sono
moltissimi esempi di subsidenza indotta dall’attività umana. Il Polesine si è
abbassato di oltre tre metri nell’arco di 30 anni di attività metanifera. I
pozzi di gas sono stati chiusi all’inizio degli anni ’60 per evitare ulteriori
disastri, fra cui le inondazioni del delta del Po. Altri esempi di subsidenza
indotta dalle estrazioni petrolifere si sono registrate nella Louisiana, in
Texas, nei mari della Norvegia, in California, in Venezuela. La provincia di
Oristano ed i cittadini di Arborea dovrebbero essere informati d tali rischi.
6)La subsidenza
indotta ha anche la caratteristica di aumentare la salinità del territorio,
compromettendo le colture agricole e con potenziale moria di alberi da frutta.
Questo fenomeno è stato già studiato ed analizzato nel delta del Po, dal
professor Mario Zambon, in seguito alle estrazioni metanifere degli anni ’50
quando vi furono morie di alberi di pesca e di mandorli nei pressi dei pozzi di
metano. Per questi motivi – subsidenza indotta, alta salinità, e alluvioni del
delta del Po - le operazioni metanifere furono in larga parte smantellate alla
fine degli anni ’60.
7)Oltre subsidenza
indotta c’è da considerare che le estrazioni di petrolio e di gas naturale
contribuiscono a rendere instabile il terreno. Microterremoti dell’ordine di 3
o 4 gradi della scala Richter si sono registrati in varie zone del mondo non
sismiche, e anche in Basilicata, a causa dell’attività petrolifiera. In alcuni
casi, le conseguenze sono state più gravi. La ditta Schlumberger riporta uno
studio in cui le estrazioni di idrocarburi in Russia hanno portato a terremoti
anche di grado 7 della scala Richter. Anche se la provincia di Oristano non è
zona sismica occorre tenere presente questi possibili rischi.
8)La Saras non
descrive la tipologia di gas che si aspetta di trivellare e il problema dello
smaltimento dell’idrogeno solforato è trattato in maniera del tutto
superficiale. In Italia la maggior parte dei giacimenti minerari presenta forti
concentrazioni di gas sulfurei: questo in Basilicata, in Abruzzo, in Puglia. Se
il gas estratto dalla Saras sarà saturo di idrogeno solforato (una possibilità
che la stessa Saras presenta) il progetto in esame non offre nessuna
discussione su quali precauzioni prenderà per salvaguardare la salute ed
evitare disturbi, e malattie, alla popolazione di Arborea, alle sue attività
agricole e di allevamento e ai turisti. L'idrogeno solforato è una sostanza
tossica, puzzolente, dalle proprietà mutageniche e cancerogeno. I limiti
italiani sono insufficienti a garantire una vita sana.
9)La Saras afferma
ripetutamente che la zona riguardante il pozzo e l'area attorno ad Eleonora
01-Dir si presenti scarsamente antropizzata e risulta adibita ad uso agricolo
che consiste in allevamenti di bovine da latte e ortaggi di ottima qualità che
rappresentano il sostentamento delle popolazioni locali. Le emissioni di H2S
hanno conseguenze gravi non solo sulla salute delle persone ma anche su quella
dei prodotti agricoli. Studi di laboratorio, mostrano come emissioni basse ma
durature nel tempo di H2S, possano compromettere la crescita di
prodotti ortofrutticoli come pomodori, carote, melanzane di cui la gente si
nutre e che coltiva. I danni all’agricoltura sono ulteriore fonte di
preoccupazione per il lungo termine. In Basilicata la presenza di attività
estrattiva ha portato alla presenza di idrocarburi nel miele, nei vigneti, nei
meleti e nei campi di fagioli impraticabili, insalata e frutta di qualità
pessima, oltre che a forti danni d’immagine.
PULIZIA DELLE SPIAGGE
La Sezione Provinciale Sinis Cabras Oristano di Italia Nostra, in collaborazione con l'AMP di Cabras, gli operatori ecologici del Servizio Igiene Rifiuti e i bambini della scuola primaria dell'I.C. di Cabras, ha promosso l'iniziativa, intitolata:
ARENABIANCA_2013
in occasione della giornata di pulizia delle spiagge organizzata dalla Surfrider Foundation Europe, che promuove campagne periodiche e sistematiche di pulizia dei litorali e dei fondali marini in tutto il mondo.
L'evento si svolgerà presso le spiagge di Maimoni (Comune di Cabras) nella giornata di sabato 13 Aprile a partire dalle 9,30.
Oltre all'attività di pulizia e rimozione di rifiuti solidi attraverso l'opportuna differenziazione, si intende svolgere un laboratorio formativo con i bambini delle classi 4^ della scuola primaria dell'I.C. di Cabras.
Alle ore 12,30 si concludono le operazioni di pulizia e di laboratorio dei bambini. L'iniziativa, oltre ad offrire una efficace attività di pulizia delle spiagge, consente di sensibilizzare i "cittadini di domani" al rispetto dell'ambiente e del bene comune.
Vi invitiamo caldamente a partecipare e ad estendere l'invito a chiunque.
Per l'attività di pulizia verranno consegnati guantini e sacchetti.
Portale e campanile chiesetta Sant'Elena - Lotzorai
Italia Nostra Sardegna (in data 12 marzo) ha inoltrato alla
Soprintendenza ai BAPPSAE di Nuoro e Sassari e alla Direzione Regionale per i
BB. CC. e PP. richiesta di apposizione di vincolo ai sensi degli artt. 10 e 13
del D.L. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) per l'immobile e
il contesto della piccola chiesa romanica di Sant’Elena, nel centro storico di
Lotzorai. La piccola chiesa e l’area cimiteriale circostante è attualmente in
stato di totale abbandono e preda di vandalismi; ancora oggi vengono trafugate le
pietre antiche e il mattonato in cotto per abbellire villette e giardini. Il valore storico di questa architettura eppure è immenso. Edificata
probabilmente sulle tracce di un antico tempio, in origine costruita in stile
romanico, poi gotico subì infine l'influenza barocca verso la seconda metà del
1600. Pur avendo perso la sua funzione di parrocchiale sin dalla metà del XVIII
secolo, rimase comunque in funzione come “chiesa del vicinato di sopra” sino ai
primi del 1950 e solo successivamente fu completamente abbandonata nel suo
progressivo degrado e lasciata in balia dei vandali nonostante la presenza intorno
di numerose sepolture.
Facciata e campanile
Ciò che rimane oggi della chiesa sono il portale dell’ingresso e
la facciata lato esterno con il campanile, i muri perimetrali con le finestre.
Sono ancora leggibili i particolari del portale di ingresso, gli stucchi
dell’altare maggiore e le diverse decorazioni delle nicchie che lo compongono. All'interno
della chiesa ormai piena di terra di vegetazione e detriti vari, ci sono ancora
i pavimenti originari e sono rinvenibili quasi tutti i pilastri in granito. Sono presenti inoltre, intorno al terreno circostante la chiesa,
diverse tombe abbandonate e profanate, alcune sono molto antiche e potrebbero
risalire al 1700, altre sono del periodo liberty. L’associazione ritiene che nonostante lo stato di totale e sempre
più pericoloso abbandono sia ancora possibile intervenire per recuperare la
chiesa e la testimonianza storica e culturale che essa rappresenta. Oltre
all’apposizione del vincolo è stato richiesto un intervento urgente per mettere
in sicurezza l’intero edificio - in particolare il campanile e la facciata
-e garantire un’adeguata recinzione
dell’intera area per evitare che continuino gli atti di sciacallaggio. Si è chiesto inoltre al Comune di Lotzorai anche ai sensi delle
Norme Tecniche di Attuazione del P.P.R. di inserire l’area, in quanto importante
testimonianza del paesaggio culturale sardo, tra quelle suscettibili di
conservazione e tutela e di adottare tutte le misure necessarie per impedire
l’ulteriore degrado del monumento. 14 marzo 2013
Un appello per salvare l'antica chiesa di Sant'Elena. L'associazione Italia Nostra ha chiesto al ministero dei Beni culturali di tutelare il piccolo presidio religioso, edificato intorno al 1100. Della struttura resta ben poco: la facciata, il campanile e una parte delle mura esterne. Sono ancora ben visibili alcuni particolari dell'altare maggiore e tracce di affreschi nelle nicchie. Tra la vegetazione si scorge anche la pavimentazione originale e i pilastri in granito. La richiesta è stata inoltrata pochi giorni fa alla Soprintendenza di Nuoro e Sassari e alla direzione regionale per i Beni culturali.
Il rudere, frequentato dai fedeli fino agli inizi degli anni cinquanta, è oggi meta di pellegrinaggio dei vandalici. Infatti le pietre vengono prelevate e utilizzate per decorare e abbellire abitazioni e giardini. Italia Nostra ritiene che, nonostante lo stato di totale abbandono, sia ancora possibile un intervento di recupero. Nell'ultimo periodo, gli operai dei cantieri comunali hanno eseguito lavori di pulizia nell'area. Il sindaco di Lotzorai, Antonello Rubiu, promette interventi mirati: «L'amministrazione è favorevole al recupero e alla messa in sicurezza del sito, appoggiando la volontà della popolazione. Ci attiveremo con gli enti preposti per avviare le pratiche». ( g. f. )
Al Signor Sindaco - Comune di Quartucciu Gentile Sindaco, le scrivo interpretando lo sbigottimento, l’allarme e la tristezza di tanti che, percorrendo l’orribile statale 554 subiscono l’insopportabile vertice di bruttezza toccato da Quartucciu.
E rappresento con queste poche righe anche lo sconcerto di Italia Nostra di cui faccio parte. L’hinterland cagliaritano è un mostro urbanistico unanimemente riconosciuto. I comuni dell’area vasta, e oltre, sono presi in una gara a chi produce il PUC più mostruoso, deforme e invasivo. Quartucciu, basta un’occhiata, ha deciso da qualche anno di accelerare questa corsa all’orrore. Vederla andare verso la distruzione, verso la sistematica cancellazione del passato, verso la devastazione particolareggiata di quanto di bello aveva conservato, produce dolore, nausea, vergogna. E la sua Amministrazione, indistinguibile dalle precedenti, partecipa a questo piano di sterminio del territorio. Provo vergogna e anche senso di colpa per essere un abitante dell’Isola e di non aver fatto abbastanza per impedire questo epidemico squallore – oltretutto una dissipazione di denaro pubblico – che i comuni del cosiddetto hinterland sono riusciti a produrre con un’indifferenza, un cinismo e un’ostinazione che spaventano. Restauro, conservazione, tutela? Parole sconosciute e se conosciute mai praticate. Credo che chiunque sia dotato di un minimo di senso non dico del bello, ma della decenza si atterrisca davanti all’indecente nuovo museo archeologico e al parco – ma non si chiama parco una desolante spianata con un mostro informe di cemento – incomprensibilmente dedicato a Sergio Atzeni il quale, ne sono certo, davanti a tanta deformità morirebbe una seconda volta. L’Amministrazione di Quartucciu procede con esiziale fermezza alla sistematica distruzione del suo patrimonio. Parlo della necropoli di Pill’e Matta e del centro storico di cui a Quartucciu era miracolosamente salvo almeno qualche brandello. La necropoli sepolta sotto gli osceni capannoni dell’area industriale. La solita necropoli scavata, decantata e poi ricoperta di schifezza. Eppure quando Pill’e Matta fu individuata capannoni non ce n’erano, si sarebbe potuta modificare la destinazione industriale dell’area, si sarebbe potuto conservare un luogo sacro e unico. Niente da fare. Le Amministrazioni di Quartucciu hanno continuato imperterrite la loro marcia verso il brutto. Molti milioni di euro buttati per un museo nel quale nessuno entrerà perché superare la ripugnanza per quell’edificio sarà impossibile per qualunque creatura normale. Ma lei riesce davvero a immaginare un visitatore che, anche se debitamente sedato, possa vincere il disgusto per una specie di colapasta di cemento armato che offende le retine oneste da lontano e da vicino, oltraggioso, degradante e di indicibile bruttezza? E il centro storico? Metaforica la vicenda della piazza della parrocchia. La Piazza San Giorgio, che conservava una sua accattivante armonia, modesta e senza pretese, ma aggraziata, è destinata, con un orrendo progetto dal titolo vagamente blasfemo di Urban Getsemani a divenire l’ennesima, triste, anonima piazzetta deserta degna della peggiore periferia urbana. Lei, gentile Sindaco, sta permettendo che uno dei pochi siti gradevoli della sua cittadina venga trasformato come quei visi devastati dal silicone per un tossico modo di intendere la modernità. Diverrà un luogo repulsivo e tetro anche per sua responsabilità. Sarà mio impegno, insieme all’Associazione di cui faccio parte, esercitare ogni strumento di critica e opposizione a questo proliferare del brutto epidemico che anche lei sostiene e a questa umiliante visione di sviluppo deforme che coinvolge e rende irreversibilmente poveri, cupi e anonimi la gran parte dei nostri paesi. Mi opporrò con ogni energia e cercherò di far conoscere i meccanismi malati grazie ai quali una bellissima necropoli che sarebbe potuta divenire un luogo di grande bellezza, che avrebbe avuto necessità di cura e protezione, dove la mano dell’uomo si sarebbe dovuta manifestare leggera sino all’invisibilità, quella necropoli è stata annichilita a perpetua vergogna di chi ha, come amministratore, il dovere di curarla. Quanto alla Piazza della Parrocchia, gentile Sindaco, ritengo che distruggere con un progetto dozzinale un sito che aveva con il tempo raggiunto faticosamente un suo equilibrio costituisca una colpa e un segno di come il centro storico di Quartucciu – di cui restavano tracce – venga trattato come una roba di cui vergognarsi, da rimuovere anche dai ricordi. Un triste tratto psicologico sardo: la vergogna del proprio passato. Quella piazza non aveva bisogno di granché, sarebbe bastato rimuovere la crosta di brutto che era, appunto, solo una crosta. Ma questa è un’operazione impossibile, troppo semplice, troppo economica. La semplicità è uno degli obiettivi più complessi e i nostri amministratori non la raggiungeranno mai. Sono gli amministratori che dovrebbero orientare, suggerire, diffondere un’idea di buon vivere in luoghi preservati, spiegare e conservare la storia alle comunità e non divenire notai di piani urbanistici che mirano ad altro e che perpetuano un modello che esplode dappertutto. Le chiedo di fermarsi, signor Sindaco, di trovare fondi per abbattere il museo, di ripristinare la piazza e di conservarla, di aprire contenziosi se servono in nome del bene comune per invertire questa corsa verso la bruttezza che allontanerà da Quartucciu, e da tutto l’hinterland, chiunque cerchi in un luogo il bello e l’armonico. E allontanerà, di conseguenza, anche ogni forma di ricchezza, economica e spirituale.
Risposta All’assessore all’agricoltura Oscar Cherchi
Impianto di Serre Fotovoltaiche
Nella conferenza stampa di giovedì 21 u.s. abbiamo informato i giornalisti presenti di alcuni fatti di cui siamo venuti a conoscenza relativi alla annosa vicenda delle serre fotovoltaiche a Narbolia e al “contorto” iter procedurale che ne ha permesso la realizzazione.
In questa vicenda l’assessore regionale all’agricoltura ha avuto un ruolo fondamentale soprattutto dopo aver firmato un decreto, lo scorso luglio, col quale dichiarava illegittima l’autorizzazione rilasciata dai comuni agli impianti di serre fotovoltaiche (confermando quanto sostenevamo da mesi) e “per ragioni di interesse pubblico”, non meglio precisate, riapriva i termini per la convalida: Una sanatoria utile soprattutto alla Enervitabio che solo due mesi prima era stata chiamata davanti al TAR della Sardegna a rispondere proprio di aver costruito l’impianto di Narbolia senza possedere una valida autorizzazione.
Nello stesso decreto l’assessore dichiara che sono “numerosi gli impianti di serre fotovoltaiche autorizzati dai SUAP o dai Comuni, i quali non avevano competenza in materia”. Concetto questo dichiarato dall’assessore anche alla stampa con la quale aveva parlato di “valanghe di richieste” poi dimostratesi solo due fiocchi di neve.
Nella conferenza stampa abbiamo ricordato questi fatti, tutti documentati, e abbiamo informato che il decreto è servito a convalidare solo due impianti che guarda caso appartengono alla stessa società, quella che ha costruito le serre a Narbolia e che nei prossimi mesi dovrà rispondere davanti al TAR (vedasi allegata comunicazione del Servizio Strutture dell’assessorato).
L’assessore all’agricoltura definisce questi fatti “polemiche senza fondamento”, e scarica in maniera maldestra sui funzionari dell’assessorato – colpevoli di avergli suggerito di emanare il decreto perché esisteva questa pressante esigenza, fatto che andrebbe comprovato con atti - responsabilità e scelte politiche di questa amministrazione regionale.
Concordiamo con l’assessore sul fatto che stiamo sollevando delle “accuse pesanti”, per le quali auspichiamo venga al più presto chiamato a rispondere nelle diverse sedi. In primo luogo davanti ai cittadini per la sua politica dissennata che sta portando l’agricoltura sarda al tracollo.
Per quanto riguarda la velata minaccia di “dover agire in altre sedi”, che tradotto pensiamo significhi voler coinvolgere il magistrato, non si preoccupi l’assessore, abbiamo già informato noi Procura di Oristano e Procura Generale.
Cogliamo l’occasione per invitare l’assessore al convegno che stiamo organizzando per sabato 2 marzo a Narbolia e che parlerà appunto di agricoltura e di salvaguardia di terreni agricoli... il suo "campo". Nei prossimi giorni diffonderemo un comunicato stampa e invieremo all’assessore un invito ufficiale.
27 febbraio 2012
Finte Serre Fotovoltaiche a Narbolia
L'Associazione
Italia Nostra Sardegna ha presentato un'istanza di accesso agli atti e
richiesto spiegazioni agli Enti preposti alle autorizzazioni in merito
all'installazione di un mega impianto fotovoltaico per la produzione di energia
elettrica nell'agro del Comune di Narbolia (Oristano).
L'Associazione infatti nutre forti
perplessità sull'utilità di un impianto di queste proporzioni (27 Megawatt
dichiarati, 1600 serre di 200 metri quadri ciascuna, centomila pannelli
fotovoltaici), sia come coerenza con le indicazioni delP.P.R. che la classifica come “area ad utilizzazione agro
forestale”, sia come
reale e concreto ricavo economico ed energetico su questi territori.
L’area interessata infatti risulta essere
una vasta zona agricola - oltre 70 Ha, di cui 31,55 di superficie coperta –
fertile e irrigua, che subirà una variazione di destinazione d’uso dalla
realizzazione dell’impianto di produzione di energia elettrica. L’economia del
territorio è essenzialmente basata sull’attività agricola e l’occupazione di
aree tanto estese priva l’agricoltura e la pastorizia di importanti spazi
produttivi. Le stesse coltivazioni previste all’interno delle cosiddette “serre
fotovoltaiche” sono estranee alla produzione locale e risulterebbero comunque
di scarsa produttività perché l’orientamento delle serre pare progettato per
garantire la massima ricezione solare e non per una efficiente produzione
agricola. Un impianto di tale portata, costituito da elementi strutturali molto
invasivi, (plinti in cemento armato, strutture d'acciaio di forte rilevanza,
piste, cavidotti, impianti ecc.) crea un’alterazione del microsistema
ecologico, una turbativa alla presenza di fauna e insetti impollinatori e un
impatto biologico di carattere terziario sulle persone. Fenomeni questi che
possono risultare amplificati dall’agrofotovoltaico, ovvero da questo ibrido di
agricoltura e di fotovoltaico industriale nel medesimo sito. Si tratta infatti
di un impianto che produce campi elettromagnetici che potrebbero interferire
con il processo di produzione agricola destinata all’alimentazione. Altro
elemento di rischio presente nell’impianto consiste nella potenziale
contaminazione dell’ambiente a causa del cadmio ed altre sostanze ed elementi
tossici presenti nei pannelli fotovoltaici.
A questi 'effetti collaterali',
evidentemente considerati irrilevanti in sede di autorizzazioni, si uniscono i
forti dubbi di ripristino dello stato naturale dei terreni alla fine del ciclo
produttivo (20 anni). Perplessità derivanti dall'assenza di un piano di
smantellamento e ripristino.
Un intervento così invasivo, come quello
in fase di avvio a Narbolia, è un grave abuso sul territorio in palese contrasto
con la normativa regionale a tutela dei valori paesaggistici in quanto
rappresenta uno stravolgimento senza precedenti di questi luoghi e dei valori
tutelati dalle vigenti normative. Il Piano Paesaggistico Regionale individua
infatti tra i valori di quest'ambito territoriale la “presenza di un
paesaggio agricolo che rappresenta elementi essenziali di riconoscibilità e di
leggibilità dell’identità territoriale”.
Il rischio imminente che questo impianto
di Narbolia venga facilmente reiterato in altri agri del territorio regionale,
come del resto sono già diversi gli esempi concretizzati solo in provincia di
Oristano,agevolati sia dagli ultimi
provvedimenti intrapresi dal governo Monti (Decreto Salva Italia, D.Lvo n.
1/2012, art. 65), sia dalla riduzione dell'esame di valutazione di impatto
ambientale alla semplice auto approvazione comunale, così come indicato dalla
Regione Sardegna.
L'Associazione intende intraprendere una
serie di iniziative finalizzate a far luce sull'opportunità, l'adeguatezza ed
il rispetto delle norme tecniche-paesaggistiche di un impianto di queste
dimensioni. Oltre a promuovere una campagna di sensibilizzazione volta al
rispetto e alla autentica tutela del paesaggio naturale della Sardegna.