domenica 10 gennaio 2021

Paesaggio, ecosistema e rinnovabili … un delicato rapporto

proposte operative revisione disciplina rinnovabili

Attualmente la Sardegna è caratterizzata da un eccesso di potenza installata per l’energia elettrica - suddivisa quasi equamente tra fossile e rinnovabile -, da una rete di trasmissione obsoleta e un’assoluta carenza di impianti di accumulo.  

Le centrali di produzione da fossile, oltre a ostacolare una necessaria transizione alle rinnovabili, impediscono di utilizzare adeguatamente la generazione da FER, arrivando a produrre un surplus energetico del 50% rispetto al fabbisogno isolano. A titolo di esempio la centrale Sarlux, oltre ad usufruire di incentivi pari nel solo 2017 a quasi 363 milioni di euro, è in grado di coprire oltre il 40% del fabbisogno isolano, mentre le due centrali di Portovesme e Fiumesanto, poco flessibili, sopperiscono di fatto alle esigenze di sicurezza e variabilità delle non programmabili.

Sono stati monitorati a tutt’oggi in fase istruttoria i progetti di 8 impianti eolici (VIA statale) e 53 impianti fotovoltaici (VIA regionale), per un totale di quasi 5.000 ettari di superficie occupata, di cui intorno a 3.000 di suolo agricolo, e 2.240 MW di potenza complessiva, un valore addirittura superiore al totale installato su tutta l’isola fino ad ora.

Tra tali progetti molti sono in fotocopia ed alcuni, pur interessando formalmente aree industriali, coinvolgono superfici attualmente coltivate, ma incongruamente comprese in zone D da una pianificazione discutibile. 

Vi è da evidenziare che alle società proponenti non competono obblighi di adeguamento della rete di trasmissione della quale pur usufruiscono e non sono tenuti a garantire una continuità di produzione, nemmeno in percentuale minima, pur godendo del vantaggio della priorità di dispacciamento: in sintesi: sono privati i profitti e collettivi i costi.

Il risultato di un tale sistema produttivo energetico è la compromissione irreversibile del patrimonio ambientale e paesaggistico sardo, che rende ancor più disastroso il panorama energetico–ambientale, caotica la gestione della produzione e della distribuzione elettrica.

E’ evidente che gli sforzi devono essere prioritariamente indirizzati alla riorganizzazione profonda del presente prima di assistere alla incontrollata proliferazione di grandi impianti di produzione. In queste condizioni l’incremento degli impianti FER infatti non farebbe altro che aggravere le distorsioni sistemiche in atto e comportare la necessità di un ulteriore contributo energetico da parte delle Centrali che bruciano fossili.

Occorrerebbe dunque Intervenire in prima istanza razionalizzando i consumi con l’appiattimento dei picchi di domanda e lo sfruttamento ottimale dei momenti di disponibilità della potenza di picco da FER. Nello stesso tempo devono essere utilizzati al meglio gli impianti di accumulo esistenti (bacini idroelettrici) migliorandone l’efficienza realizzando sistemi di bacini per il ripompaggio, ed affiancando sitemi di accumulo chimici. Ciò nondimeno, tali interventi devono accompagnarsi ad una ulteriore non meno importante azione: il taglio drastico degli sprechi.


Occorre dunque un articolato piano di programmazione e di buone pratiche in cui il comparto energetico vada a costituire una parte integrante e funzionale di una più complessiva strategia di sviluppo generale del territorio.

Così come anche previsto dal decreto semplificazioni del 16 luglio 2020, all’art. 50 comma c, i progetti e le opere necessarie per l'attuazione del Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC) devono tenere “conto delle caratteristiche del territorio, sociali, industriali, urbanistiche, paesaggistiche e morfologiche (e delle aree sia a terra che a mare caratterizzate dalla presenza di siti di interesse nazionale da bonificare ovvero limitrofe) con particolare riferimento all'assetto idrogeologico e alle vigenti pianificazioni”.

In un tale ambito programmatorio devono trovare collocazione piani attuativi, specifici finanziamenti, cronoprogrammi e obbiettivi di riduzione di emissioni, le bonifiche ambientali, la sostenibilità ambientale, la salvaguardia della salute, la tutela del suolo, del paesaggio e del patrimonio. Solo in un tale organico contesto si possono evitare le realizzazioni di inutili e insensate opere di grande impatto, si possono realizzare le necessarie infrastrutture per l’utilizzo razionale delle FER, rendere sostenibili le trasformazioni ambientali e sociali.

Se ci si ispira ad un concetto di energia come Bene Comune ed alle Direttive in tal senso fornite dalla UE che sollecita la formulazione di progetti ispirati alla democrazia energetica le linee guida da seguire possono così riassumersi.

I progetti di produzione energetica da FER, non investono il solo ambito tecnologico, ma devono essere considerati alla stregua di progetti a impatto sociale e come tali devono tener conto nei loro obiettivi non solo dei benefici climatici, ma dei bisogni sociali, ovvero Benessere, Uguaglianza, Crescita economica e sociale, Integrazione. Bisogna dunque chiedersi nell’effettuare una valutazione complessivo di un progetto:

- Il progetto risponde anche ad un bisogno sociale garantendo investimento sociale, sviluppo, crescita occupazionale, valorizzazione del capitale umano?

- Crea un ritorno economico e sociale assicurando vantaggi in termini sanitari, ambientali, paesaggistici, sociali ed economici? 



Oggi la realizzazione di un impianto di produzione energetica da FER si misura esclusivamente nel beneficio economico che il proponente ritrae dal Capitale investito attraverso la riscossione degli incentivi sulla produzione elettrica garantita dallo Stato attraverso il prelievo forzoso dalle tasche dei cittadini. Nullo è il ritorno per questi ultimi come irrisori sono i ristori per le Comunità dove gli impianti vengono localizzati (anch’essi in modo forzoso) a fronte della rinuncia di intere porzioni di territori e soprattutto delle fonti energetiche. Noi riteniamo invece che debbano essere introdotti meccanismi correttivi all’attuale sistema normativo che renda protagonisti e non spettatori le Comunità di un tale epocale cambiamento. I benefici che possono ritrarsi da un utilizzo razionale di tali risorse, così intrinsecamente collegate al territorio, devono tradursi in un riscatto storico che scongiuri lo spopolamento e ripaghi delle predazioni trascorse. Tale benefici misurabili in termini economici devono dunque tradursi in recupero del gap storico e disponibilità di risorse per il futuro. 

 

Italia Nostra Sardegna - Confederazione Italiana Agricoltori Sardegna - Cobas Cagliari - USB Sardegna

 

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