La mozione approvata dal parlamento italiano, lo scorso 26 giugno, che obbliga il governo ad “… adottare gli atti necessari a sospendere le esportazioni di bombe d’aereo e missili che possono essere utilizzati per colpire la popolazione civile e loro componentistica verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sino a quando non vi saranno sviluppi concreti nel processo di pace con lo Yemen”,è una novità importante rispetto all’immobilismo assoluto degli anni precedenti o peggio ancora rispetto all’autorizzazione di esportazione di armi rilasciata dal governo Renzi alla RWM Italia nel 2016, la fabbrica che costruisce bombe di varie forme e potenza nei comuni di Domusnovas e Iglesias. Questa decisione con le successive minacce di riduzione dell’organico nello stabilimento RWM sono un’ulteriore conferma della precarietà delle attività e dei posti di lavoro dipendenti dalle guerre e dalle politiche internazionali.
Non sappiamo cosa accadrà adesso, troveranno qualche scappatoia usando “furbescamente” le triangolazioni con i governi mediatori per consentire alla RWM di poter soddisfare la corposa commessa di oltre 400 milioni di euro con l’Arabia Saudita. Bombe che saranno ancora utilizzate per ultimare la distruzione dello Yemen e la sua popolazione civile. Mentre nel Sulcis si continuano a rilasciare autorizzazioni a questa società – l’ultima è di questi giorni, in barba all’imminente pronunciamento del TAR Sardegna sulla legittimità dell’intero iter autorizzativo - per ampliare la capacità produttiva dello stabilimento che proseguirà indisturbata nella sua opera di costruzione di bombe, ordigni e armi di vario genere, e di distruzione del nostro territorio, dell’ambiente e del paesaggio.
Abbiamo sentito spesso che purtroppo non possiamo impedire questi disastri perché questa società è legittimamente autorizzata ed è … “tutto in regola”!
Siamo convinti che anche in Sardegna le multinazionali devono rispettare le norme urbanistiche, paesaggistiche e ambientali, tutte le leggi esistenti a garanzia della sicurezza dei cittadini e quelle che garantiscono la partecipazione della comunità ai processi decisionali, oltre ai trattati sul diritto delle associazioni e dei portatori di interesse a conoscere i dati e le informazioni di carattere ambientale. Si tratta di trattati e direttive europee e di leggi e decreti della repubblica italiana e della regione sarda che non possono essere disattese. Per chiederne il rispetto e la corretta applicazione, assieme a Italia Nostra, si è formato un ampio fronte di associazioni e comitati – Comitato riconversione RWM, Centro Sperimentazione Autosviluppo, ARCI Sardegna, Assotziu Consumadoris Sardegna, Legambiente e USB - che hanno chiamato in causa il comune di Iglesias in primo luogo, ma anche la regione Sardegna, la provincia del Sud Sardegna e la stessa prefettura di Cagliari per aver in vario modo autorizzato l’ampliamento dello stabilimento della RWM Italia spa con modalità di dubbia legittimità e nonostante non sussistessero i requisiti di legge.
In attesa di conoscere la decisione dei giudici amministrativi della Sardegna proviamo a fare il punto sul discutibile iter autorizzatorio, anche in base alle informazioni che in questi mesi siamo riusciti ad ottenere, nonostante l’assoluta segretezza sugli atti, grazie alla documentazione che è stata depositata davanti al TAR.
Tra i numerosi vizi sollevati nei ricorsi presentati dagli avvocati Andrea e Paolo Pubusa ne cito soltanto alcuni tra i più rilevanti:
1) La questione di cui si è disquisito a lungo nelle memorie dell’azienda e degli enti che si sono costituiti in giudizio riguarda l’esistenza o meno nello stabilimento, definito dalla stessa RWM un impianto chimico, di un processo produttivo di natura chimica finalizzato alla produzione di esplosivo: condizione che renderebbe obbligatoria la Valutazione di Impatto Ambientale. Curiosamente le risposte alle nostre certezze sull’argomento, suffragate anche da un nostro tecnico di fiducia, sono state tra le più disparate. Dopo aver respinto sdegnosamente tale ipotesi, hanno dovuto poi ammettere che la produzione esisteva, ma era di natura fisica e non chimica. Successivamente, incalzati dalle nostre relazioni e dall’evidenza, hanno ammesso anche l’esistenza di un processo chimico ma non esistono, a loro dire, una serie di unità funzionalmente connesse in impianto chimico integrato per la fabbricazione di esplosivi. Anche questa tesi, fatta propria dalla Regione Sardegna, è una assurdità tecnica non contemplata dalle linee guida emanate della Comunità Europea in materia di VIA.
Saranno i giudici del TAR a decidere se l’ampliamento dell’impianto andava assoggettato a VIA oppure no. Certo è che l’esistenza di una fabbrica per la produzione di esplosivi è incompatibile con l’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) - una autorizzazione ambientale semplificata che viene rilasciata alle piccole aziende artigianali - e obbliga invece lo stabilimento all’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) più rigida e certamente più opportuna per uno stabilimento inquinante e a rischio di incidente rilevante come quello della RWM.
2) L’altra importante assurdità presente, e da noi sollevata, riguarda il frazionamento dello stabilimento (parrebbe addirittura che siano state presentate più richieste per lo stesso edificio) finalizzato ad evitare la Valutazione di Impatto Ambientale. Una scorciatoia, non contemplate dalla vigente normativa, per evitare la presentazione di un Piano Attuativo, così come previsto dalle norme urbanistiche del Comune di Iglesias per le costruzione in area industriale. Ma è una norma che vale in tutta Italia.
A sostegno della tesi sulla correttezza urbanistica dell’ampliamento dello stabilimento in una zona urbanisticamente non compatibile abbiamo letto nelle memorie ipotesi tra le più bizzarre, perfino che una destinazione urbanistica può essere assegnata per contagio (come il virus del raffreddore!) in base alla destinazione urbanistica delle aree circostanti, anche se appartenenti ad altri comuni (sic!). Con buona pace dei Consigli Comunali ai quali compete la pianificazione urbanistica dei propri territori.
3) E poi esiste il problema della sicurezza esterna. Che dovrebbe essere garantita dal Piano di Emergenza per le Aree Esterne (PEE), obbligatorio per gli stabilimenti ad elevato rischio di incidente rilevante (d.lgs 105/2015 e d.lgs 334/1999) come quello di Domusnovas-Iglesias di RWM Italia. Il piano attualmente in vigore è scaduto, come una patente. Solo che quelli della RWM continuano a guidare senza che nessuno intervenga e in gioco c’è la sicurezza di decine di migliaia di persone che vivono e lavorano a pochi chilometri dello stabilimento di Domusnovas e delle altre sedi disseminate tra Musei ed Iglesias. Il PEE scaduto non viene aggiornato dal 2012, ed è assolutamente obsoleto in quanto da allora la produzione dello stabilimento è cambiata completamente e gli ordigni prodotti sono molto più potenti e pericolosi. La società ha ampliato la sua attività anche in prossimità del centro urbano di Iglesias, a fianco di esistenti attività produttive e case abitate da civili. Una situazione di seria pericolosità e di mancato rispetto della normativa in assenza quindi delle minime garanzie di sicurezza.
E’ bene ricordare ai sindaci e al prefetto di Cagliari, che hanno responsabilità diretta in materia di sicurezza pubblica, che il Piano di Emergenza deve essere aggiornato ogni tre anni e ogniqualvolta intervengano modifiche significative nell’impianto o nella produzione, che esso è pubblico e deve essere noto alla popolazione attraverso apposite campagne informative, come previsto al punto VII del D.P.C.M. 25.2.2005 “Pianificazione dell'emergenza degli stabilimenti industriali a rischio di incidente rilevante”.
In una situazione in cui appaiono palesi diverse illegittimità e contraddizioni, abbiamo chiesto al TAR, nel rispetto del Principio di Precauzione, di rimandare qualsiasi decisione alla Valutazione di Impatto Ambientale, una procedura tecnica e democratica stabilita dalla legge.
Tra l'altro uno dei motivi di illegittimità sollevati è stata l’esclusione dei ricorrenti dai numerosi procedimenti amministrativi e dalla completa conoscenza degli atti e delle informazioni di carattere ambientale. Le procedure di VIA e di VINCA consentirebbero di sanare questo vizio permettendo la partecipazione del pubblico al procedimento in maniera trasparente, con tutte le informazioni necessarie per studiare il processo produttivo e supportare con osservazioni e relazioni tecniche l’attività degli uffici deputati all’istruzione del procedimento.
In conclusione quindi ci troviamo di fronte ad uno stabilimento che emette sostanze inquinanti, ad alto rischio di incidente rilevante, che distrugge il territorio, il paesaggio e l’ambiente naturale, che presenta numerosi profili di illegittimità, che ha ricevuto una autorizzazione ambientale simile a quella che viene rilasciata a una piccola attività artigianale, che è stato autorizzato senza alcun coinvolgimento della Comunità (Consiglio Comunale, Associazioni e Portatori di Interesse, Cittadini) e senza alcuna garanzia per la sicurezza della popolazione che viene tenuta all’oscuro perfino dei piani di sicurezza e degli eventuali rischi a cui potrebbe andare incontro.
Su tutto questo sono chiamati a rispondere i giudici del TAR Sardegna, ma in particolare devono chiarire alla RWM e a tutti gli enti interessati se in Sardegna le direttive della Comunità Europea, le leggi Italiane e le norme regionali si applicano per tutti in maniera eguale o se esiste invece una sorta di zona franca o un iter facilitato per le multinazionali e per le aziende inquinanti.
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L'articolo di Mauro Lissia sulla Nuova Sardegna del 26 giugno 2019 |