Per questa ragione Italia Nostra Sardegna ha ritenuto di dover inoltrare, in data 10 agosto, ad entrambi gli Enti interessati (Ente Parco e Regione - Servizio Valutazioni Impatti e Incidenze Ambientali) una richiesta di accesso agli Atti, insieme ad un invito rivolto all’Assessorato all’Ambiente affinché, prima dell’attivazione della procedura negoziale, si dia luogo, in ottemperanza alle Linee Guida Nazionali sull’art.6 della Direttiva Habitat, all’espletamento della VIncA per il citato progetto.
E’ di tutta evidenza che le attività di disgaggio (demolizioni e abbattimenti) sulle parti a rischio frana e gli interventi di chiodatura previsti in progetto, volti a “stabilizzare pendii, scavi e pareti rocciose”, andrebbero valutati sia in relazione alla loro reale efficacia di messa in sicurezza del sito, sia in termini di incidenza sugli habitat della falesia e sull’avifauna ivi nidificante (tra cui alcune specie a rischio di estinzione a livello mondiale). Come pure occorre richiamare la non congruenza di tali interventi con la recente legislazione adottata dall’Unione Europea sulla conservazione della biodiversità e degli habitat.
Vi è ancora da aggiungere che nell’intervento sono state previste opere a mare che appaiono in singolare dissonanza con le finalità precauzionali di messa in sicurezza della falesia, quali ad esempio l’installazione di 15 boe (ben 5 delle quali prossime alla falesia stessa) atte a consentire l’ancoraggio di “unità nautiche” per attività di immersione e di imbarcazioni per il “trasporto collettivo” per la fruizione turistica delle aree marine al piede della falesia. L’incremento della pressione antropica via terra (ripristino sentieri) e via mare (ormeggi e moli) si pone, infatti, in netta antitesi con la finalità dichiarata del contenimento del rischio, soprattutto ove si consideri che il contesto ambientale in cui si inscrive, esclude l’accoglimento di istanze di dissennato sfruttamento antropocentrico
Viceversa una visione naturocentrica, coniugata al principio di precauzione (Dichiarazione di Rio 1992), potrebbe dar luogo a un intervento meno pervasivo e meno denso d’incognite. La mappatura delle criticità e il monitoraggio dei fenomeni evolutivi dovrebbero costituire i principi ispiratori di un progetto di restauro naturalistico calibrato sulle specifiche esigenze di un sito ricompreso in una Zona di Speciale Conservazione (ZSC), piuttosto che fare ricorso a tecniche d’ingegneria ambientale di dubbia efficacia per le azioni meccaniche potenzialmente inducibili su una parete rocciosa ad alta instabilità.
In sintesi l’adozione alternativa di un’opzione zero (non esclusa in ambito VIncA) con un congruo ampliamento della zona di interdizione, consentirebbe il naturale decorso evolutivo della falesia evitando d’incrementare le cause di alterazione degli equilibri geostatici e tendenzialmente azzerando il pericolo per la pubblica incolumità.
Non si può quindi che concordare con le riserve sull’intervento formulate dal Comitato per Punta Giglio affidate a una petizione diffusa sui social, che ha già raccolto numerose autorevoli adesioni
Infine, non è inutile rammentare che il dibattito pubblico e il processo partecipativo, finora sostanzialmente elusi, non sono gentili concessioni delle Amministrazioni procedenti, ma diritti dei cittadini, sanciti nell’interesse pubblico da norme nazionali (Dlgs 241/90, Linee Guida, ecc.), nonché da una cospicua legislazione europea.
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