Sabato 25, piove governo ladro! Mi alzo
all’alba, da Sassari devo raggiungere il Campidano. I “comitatini”
organizzano una manifestazione contro i due progetti del termodinamico solare.
“Non puoi mancare mi hanno detto” e io tra questi compagni di
lotta sono a casa, mi ci sento libero. La partecipazione è libertà. Solo con i
miei pensieri, mentre il paesaggio mi accompagna. Mi fa star bene il
solitario scivolare tra campi umidi in tacito colloquio: il
paesaggio è luogo dell’anima! Forse è per questo che lo si vuole cancellare.
Mi accoglie la dolce culla di Campu
Giavesu: tra progetti di centrali e impianti realizzati di finte serre
fotovoltaiche ha rischiato di sparire, non fosse stato per i
Cossoinesi. E’ cominciato tutto qui, quattro anni fa, a Cossoine!
Una comunità di poche anime ha detto NO al termodinamico. Ero fuori del seggio
nella sera ventosa in cui si teneva il referendum consultivo. Evocazione
epica di una democrazia partecipativa.
E i polites c’erano tutti: giovani
balentes, uomini reduci dai campi, anziane donne. “La posso aiutare”
mi è venuto di dire ad una di esse che faticava a uscire dall’auto. “Io a
lei non la conosco” e ha cercato un braccio noto che la sorreggesse. Poi
l’emozione dello spoglio e il plebiscito per il NO. Il veleno sputato dalla
multinazionale non si era fatto attendere. La Sardegna voltava ancora una volta
le spalle al progresso e alla civiltà, attardata dai suoi miti, impantanata
nel suo arcaismo e giù una richiesta di risarcimento miliardario per i
mancati guadagni per un quarto di secolo a venire.
Mauro Gargiulo |
Come se fosse un dovere svendere i
sogni, come se fosse un diritto riscuotere una presunta svendita! Ma avevano
solo sondato il terreno, era il Campidano la vera preda, le terre tra Villasor
e Guspini. Lì si stendeva una piana a loro dire in via di desertificazione, di
nullo prezzo, abitata da pastori e agricoltori rozzi ed incolti, che
attendeva solo d’essere coperta da un mantello di specchi parabolici, da tubi
percorsi da fluidi incandescenti, da serbatoi alti dieci piani, da
ciminiere, torri metalliche ventilate, turbine, alternatori, evaporatori.
Questo inferno di tubi e cemento avrebbe
mostrato a emiri e colonnelli arabi che l’Impresa italica non è solo una
filiazione di Mattei, ma anche un parto di Rubbia. In Regione però le cose non
prendono la piega prevista: non passa l’idea che la colata di cemento e
la spalmatura di vetro sui seicento ettari di suolo agricolo sia immune da
impatto ambientale. Allora si ricorre alla soccorrevole stampa servile:
pastoie burocratiche, ostacoli al Fare, l’Italia da sbloccare!
Segue un gioco di prestigio sui numeri e
i due impianti, quasi a sfregio denominati “Flumini Mannu” e “Gonnosfanadiga”,
con la potenza fraudolentemente triplicata, passano per competenza
a Roma: la meta agognata, il porto delle nebbie! E’ lì, al Ministero cosiddetto
dell’Ambiente, che va in scena la farsa del procedimento di VIA: le decine di
Osservazioni, le Relazioni avverse dei tecnici dei Beni Culturali, della
Regione, dei Comuni, vengono ignorate. In poche e insulse pagine una
Commissione priva di qualsiasi competenza specifica si pronuncia per la
sostenibilità ambientale.
Esulta l’Impresa, gioisce la multinazionale:
l’ultima parola sull’impatto ambientale è finalmente nelle mani del
Consiglio di Ministri, esito di quella mala politica che si ostina a voler
decidere del destino di uomini e territori! Una sentenza già scritta, se non
fossimo oggi qui unidos a urlare ancora NO, come a Cossoine, come a
Quirra, come a Porto Torres, come a Ottana, come ad Arborea, come a Furtei,
come alle Scorie Nucleari, come a Portovesme, No e sempre NO allo scempio
della Sardegna.
Giungo a Gonnos sotto la pioggia. Il
tempo non aiuta ma arrivano in tanti alla spicciolata. Cerco un riparo e mi
ritrovo accanto una signora anziana, i capelli raccolti nel fazzoletto, lo
sguardo acuto. “Anche lei alla manifestazione “ le dico. “Non lo
faccio per me, io sono vecchia, lo faccio per i giovani”. Le sfioro il
braccio, come in cerca di sostegno. Vecchia! si può essere vecchi con questi
pensieri nel cuore? La partecipazione è amore. Ci si raduna e siamo in molti.
Il terrore di un flop è scongiurato. Si
percorre il paese. Mi ritrovo accanto una mamma con un bimbo di pochi mesi tra
le braccia, che dorme. “Tu però ci sei” mi viene da pensare. Poi i
discorsi dei tanti che sono presenti. Mi chiedono di chiudere gli interventi.
Cosa dovrò dire, cosa potrò dire. Delle terre che si vogliono vigliaccamente
sottrarre con gli espropri e dei soprusi patiti, dei suoli che si intendono
sconvolgere per sempre, delle riserve idriche da sperperare in un paese
afflitto da sete perenne, di quella piana non più pascolo di greggi, ma inferno
di calore e specchi: ancora una volta “niente più come prima”!
Troppe parole per una manciata di
secondi. Al microfono farfuglio frasi smozzicate. Bastava portarmi accanto la
signora e il bambino: sarebbe stato lampante e tacito il concetto di
sostenibilità ambientale. Chiudo con un appello a lottare per “questa
nostra terra”. Ma come sempre mi capita, il possessivo mi si smorza in
gola. Anche quello è un esproprio sulle labbra di un accudito.
Rientro di corsa a Sassari. C’è la
manifestazione di protesta per il raid fascista di Casa Pound. Il corteo sfila
per tutta la città urlando slogan che mi riportano indietro di 40 anni.
Ritornano fantasmi che pensavo dissolti. Dove ci sta portando questa mala
politica? Dove ci vuole portare? Ancora e sempre nebbie! Ci sono momenti di tensione.
Ho mia figlia tra gli organizzatori, che tenta di far scudo tra i più
bellicosi.
Uno scricciolo che non piega erba con il
piede. Quante vite dovrò vivere per saper leggere la trama delle fibre di cui è
tessuto il cuore di una donna sarda!
di Mauro Gargiulo*
*Mauro
Gargiulo è il delegato per le tematiche energetiche di Italia Nostra
Sardegna
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