Si riporta integralmente la risposta di Roberto Pozzan, redattore di Report - e autore del programma "I fossilizzati" in cui si parla di idricarburi, di gas, di PEARS e di termodinamico solare in Sardegna - alla lettera di Italia Nostra Sardegna inoltrata lo scorso 12 aprile 2016.
Alla nota del giornalista segue la risposta di Italia Nostra Sardegna e del Comitato civico di Guspini "No Megacentrale"
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Specchi parabolici |
Risposta del
redattore di Report dott. Pozzan
Il sogno
possibile:
La Sardegna
prima regione d’Europa libera dai combustibili fossili.
La realtà
invece:
La Sardegna
esporta più del 40% dell’energia elettrica che produce. In teoria potrebbe
tagliare le produzioni più inquinanti, ma non lo fa, anzi le vuole
incrementare. Forse il fatto che gran parte di queste produzioni godano degli
incentivi previsti dal famigerato CIP6 per via di quel “rinnovabili e
assimilate” scritto nella legge non è secondario.
Eppure studi
internazionali dimostrano modifiche nel dna dei bambini di Sarroch.
Studi
altrettanto attendibili dimostrano il rischio di danni gravissimi per la
salute e per lo sviluppo delle capacità cognitive dei bambini di Portoscuso.
Porto Torres e addirittura il paradiso dell’Asinara presentano livelli di
contaminazione veramente preoccupanti.
In questo
contesto le autorità sarde presentano un piano energetico basato su nuove
centrali a carbone sul metano e che si spinge a definire
“strategica” la produzione energetica attraverso la gassificazione dei
residui della raffinazione petrolifera.
Siamo nel 2016 e c’è da restare a bocca aperta. C’è
da sgranare gli occhi sapendo che tutto questo avviene in uno dei luoghi più
belli e vocati alle rinnovabili del Mediterraneo. C’è da pizzicarsi la
mano per assicurarsi che non sia un incubo, vedere il sostanziale consenso
delle organizzazioni “ambientaliste”.
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Percorso del fallito progetto di metanodotto Galsi |
Sappiamo tutti
che metanizzare l’isola significherà seppellire migliaia di chilometri di
tubazioni con la distruzione che ne deriva. Sappiamo tutti che i
rigassificatori non sono strutture a impatto zero e possiamo immaginare
cosa significhi avere navi metaniere che solcano le coste. Se non lo
sappiamo, basta rivedere le immagini di Viareggio, dove un piccolo contenitore
di GPL montato in un vagone, ha determinato la tragedia che sicuramente conosciamo.
Sappiamo anche
cosa vuol dire carbone: enorme consumo di territorio che per centinaia di
anni non sarà più utilizzabile nelle zone di estrazione (magari
lontane) ma anche nelle zone dove avverrà la combustione. Metalli pesanti,
uranio e ceneri tossiche che vanno a coprire i terreni. L’ordinanza della ASL
di Carbonia ce lo conferma ancora.
In questo
quadro, visto che permane il bisogno di energia, si potrebbe ipotizzare la
sostituzione della generazione inquinante con quella pulita. Ma se questa
è la direzione, fotovoltaico, eolico, solare a concentrazione e idroelettrico
diventano tappe obbligate da agevolare, non a cui opporsi. Queste tecnologie
non inquinano e non producono gas clima alteranti.
Ovviamente
anche le rinnovabili hanno dei costi. Il paesaggio viene modificato come
Vittorio Sgarbi non si stanca di ripetere. Però i vantaggi ci sono: i terreni
non vengono perduti e il giorno in tecnologie migliori saranno disponibili,
basterà smontare pale, pannelli e specchi e tutto tornerà come prima. Il clima
non sarà alterato, e il terreno riposato sarà ancora più fertile.
A chi giova
allora la ferrea opposizione alle rinnovabili che attraversa il paese e trova
negli ambientalisti la propria punta di diamante?
Perché la
possibilità di sostituire energia pulita a carbone e idrocarburi non diventa
terreno di dibattito e di contrattazione tra chi difende il territorio in modo
organizzato e le istituzioni propense a non cambiare modello energetico?
Viene da
chiedersi come mai organizzazioni che hanno a cuore la bellezza del paese e la
salute dei cittadini si trovino oggettivamente alleate con chi vuole lo status
quo, cioè produzione clima alterante e inquinante?
Viene da
chiedersi come mai tutti si scandalizzino di fronte agli incentivi per le
rinnovabili e nessuno per quelli destinati alle fossili che sono 10 volte più
consistenti?
Misteri su cui
bisognerebbe indagare!
Tengo a
aggiungere che ho visitato i terreni su cui dovrebbero sorgere due delle
centrali: “Flumini Mannu” e “Gonnosfanadiga”. Li ho visti d’estate e sono
tornato a febbraio. Mi sono sembrati belli ma piuttosto abbandonati.
Ho visto poche pecore al pascolo, colture di foraggio e in superfici
minori di orzo. Non c'erano le colture pregiate che si vedono una
ventina di chilometri più a sud (scusate l’ignoranza sulla toponomastica) per
cui non riesco a immaginare danni irreparabili all’agricoltura o perdite
consistenti di posti di lavoro, anzi. Leggo che la Sardegna importa
addirittura l'80% del foraggio dall'estero!
Una Sardegna
tecnologicamente avanzata, che fa il salto per essere la prima regione a
impatto zero in Europa, una Sardegna libera dai veleni ricca di centri di
ricerca che studiano un modello di sviluppo riproducibile in tutto il
Mediterraneo mi sembra un obiettivo su cui vale la pena puntare, e che
porterà senz’altro ricchezza e lavoro qualificato. Lo status quo con gli orrori
industriali di Sarroch, Porto Torres e Portoscuso a cui si aggiungono metano e
carbone mi sembrano segno di una sconfitta epocale che può portare solo miseria! Mi
spiace veramente vedere che ambientalisti che hanno i miei
stessi ideali, di fatto divengano i migliori
alleati della conservazione di un modello
energetico superato e distruttivo.
Roberto Pozzan
Autore de “I
fossilizzati” Report
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Simulazione di un impianto termodinamico solare |
La risposta di
Italia Nostra alla redazione di Report
Egregio dott. Pozzan
prendiamo atto che condividiamo lo
stesso sogno, quello di trasformare la Sardegna nella prima regione d’Europa
libera dai combustibili fossili. Tanti cittadini, numerosi Comitati civici
locali, qualche Amministrazione pubblica e diverse Associazioni ambientaliste condividono
assieme a noi questa idea di futuro. Da anni inseguiamo questo sogno e da anni tutte
le nostre azioni e le nostre forze sono indirizzate in tal senso. Nei nostri
interventi nel corso degli incontri previsti dalla procedura di Valutazione
Ambientale Strategica del Piano Energetico Regionale della Sardegna e nelle
successive Osservazioni presentate alla Regione abbiamo anche cercato di
raccontare questa nostra visione dell’Isola.
Le nostre osservazioni al PEARS non
sono state ancora pubblicate nel sito della RAS, a richiesta saremmo lieti di
inviargliene copia. Una sintesi del sogno raccontato dagli ambientalisti è comunque
reperibile nel post pubblicato il 10 aprile u.s. nel blog di Italia Nostra
Sardegna (nota 1). Se prima della trasmissione
avesse letto quel post e la nostra mail indirizzata alla redazione di Report del
12 aprile u.s., avrebbe evitato di riportare una serie di inesattezze sul PEARS
e sulle posizioni delle Associazioni Ambientaliste. Purtroppo Lei ha anche
perseverato e anziché accogliere i nostri provvidi suggerimenti, e la nostra
richiesta di essere perlomeno ascoltati, con la sua ultima nota ritorna a
difendere la trasmissione, ribadendo la validità del motivo conduttore e la
tesi di fondo: “Le autorità sarde”
(meglio sarebbe stato dire i politici sardi, per la nostra ritrosia ad ogni
forma di auctoritas) avrebbero varato
un Piano Energetico che sposa integralmente la linea della produzione di
energia da fonti fossili ed ignora del tutto la vocazione alle rinnovabile del
Paradiso Sardegna. Tutto ciò con il “sostanziale
consenso delle associazioni ambientaliste”.
NIENTE DI PIU' FALSO!
Una
lettura anche se superficiale del PEARS, la avrebbe resa edotta sul fatto che
buona parte degli Obiettivi Strategici in esso contenuti (efficientamento e
sicurezza energetica, reti intelligenti,
riduzione del 50% dei climalteranti al
2030) punta all’utilizzo delle FER, auspicando e dettando regole sulla
produzione diffusa e sull’autoconsumo (limite del 50% evidentemente inviso agli
speculatori). Si postula dunque (almeno negli intenti) il rifiuto di quel modello
imprenditoriale di speculazione selvaggia delle produzioni di energia da FER
finora attuato che, adottando il modello di liberalizzazione introdotto dal Decreto legislativo n. 387 del 29 dicembre 2003,
ha prodotto in Sardegna distorsioni insostenibili per impatti
paesaggistici, consumi di risorse ambientali, esubero esponenziale di energia
elettrica rispetto ai consumi (oltre il 40%).
Una corretta informazione avrebbe
dovuto, a nostro avviso, rendere edotto
il pubblico sul complesso delle azioni previste nel PEARS e non limitarsi a
focalizzare l’attenzione sulla sola “metanizzazione”, passaggio quest’ultimo
obbligatorio ad avviso regionale (ma da noi avversato) per una transizione da fossili a rinnovabili,
un’idea questa peraltro mutuata da Direttive europee e dal
SEN.
Non sta
a noi prendere le difese di una pianificazione che nei fatti abbiamo in buona
parte contestato ed avversata, ma occorre che ai fini di una imparziale
informazione un corretto inquadramento sia d’obbligo, soprattutto su argomenti
di elevata complessità tecnica ignoti al grande pubblico.
Si
diceva dunque che Associazioni ambientaliste, comitati, esperti, cittadini, non
hanno condiviso l’impostazione strategica del PEARS. Ne fanno fede i numerosi
Atti di Osservazione presentati nell’ambito al procedimento di VAS, di cui la
redazione di Report evidentemente avrebbe fatto bene a prendere preventiva
visione. Scevri da omologazioni culturali, in tali documenti, che auspichiamo
saranno a breve pubblicati sul sito della Regione, abbiamo sostenuto e
dimostrato che il modello di sviluppo di una Sardegna libera dalle fossili non
solo è auspicabile, ma rientra nelle nostre attuali possibilità del breve
termine e senza richiedere sacrifici né economici, né ambientali. Nelle stesse
Osservazioni si è inequivocabilmente presa posizione sulla necessità di
pervenire in tempi brevi alla chiusura delle Centrali termoelettriche, tutte
ormai fuori norma, piuttosto che preconizzare una riconversione delle stesse, e
si è denunciata come priva di ogni principio di economicità e razionalità
l’ipotesi di realizzare nuove centrali a carbone per sostenere iniziative
industriali destinate inesorabilmente al fallimento, peraltro con il
finanziamento occulto di fondi pubblici (centrali a CCS del Sulcis ad esempio).
Le
nostre posizioni sono state sempre coerenti, cristalline, mai ambigue, inoppugnabilmente
motivate, anche se spesso destinate alla impopolarità. La nostra idea è quella
di una Sardegna carbon free, votata
all’autosufficienza energetica da perseguirsi attraverso autoproduzione ed
autoconsumo, libera da interventi speculativi, che dietro il paravento delle
FER, mirano ad una seconda reindustrializzazione di un territorio che ancora
porta le piaghe irrisolte del Sulcis, di Ottana, di Sarroch, di Porto Torres, di
Furtei, un tempo miraggi di una rinascita inadempiuta, oggi testimoni di un
inquinamento devastante che si vorrebbe tombare e non risolvere.
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Modello di abitazione a consumo energetico zero |
Posizioni
chiare dunque, inequivocabili, senza “misteri
su cui indagare” o che possano dare adito a gratuite e ingiustificati
interrogativi quali “ A chi giova allora la ferrea opposizione alle
rinnovabili che attraversa il paese e trova negli ambientalisti la propria
punta di diamante?”
Non è certo alle Rinnovabili che le Associazioni
si oppongono, e tanto meno ci si “scandalizza” per il
sistema delle incentivazioni, ma
il nostro NO, convinto sotto il
profilo etico e motivato sotto l’aspetto tecnico va a quelle forme di uso degli
incentivi e sfruttamento delle risorse ambientali, che nell’intento di far
conseguire alti interessi di origine pubblica a capitali privati, perseguono di
fatto il fine di speculare sulle FER,
impedendo di fatto che i benefici delle rinnovabili ricadano sull'intera
Comunità.
In Sardegna in questi anni, paradiso delle FER,
sono stati costruiti numerosi impianti con modalità procedurali inconsuete
(alcune delle quali di dubbia legittimità ordinaria e costituzionale), i quali
sia per il numero che per le dimensioni hanno determinato :
- una delle più violente e repentine aggressioni
al paesaggio ed all'ambiente. Un vero e proprio fenomeno di land grabbing che sta
interessando Sardegna e sud Italia;
- un disastro in termini di costi sostenuti
dalla collettività (oltre 12 miliardi di euro l'anno per l'Italia);
- un prelievo di risorse finanziarie che
da un lato ha avuto riflessi negativi nella ricerca indirizzata allo sviluppo
di nuove tecnologie alternative e dall’altro una contrazione degli investimenti
in settori ben più performanti per la riduzione di gas serra come le rinnovabili
termiche, l'efficienza energetica, l'autoproduzione etc...;
- una delle cause del costo proibitivo
dell'energia in Italia, ancor più accentuato in Sardegna;
- un considerevole flusso di denaro in uscita
dall'Italia;
- un beneficio occupazionale esiguo se
raffrontato ai capitali investiti, peraltro limitato nella gran parte alla
realizzazione degli impianti;
- una contraddittoria negazione stessa del
principio di "produzione individuale distribuita", teorizzato
dagli stessi fautori delle rinnovabili e suggerito dalle politiche europee;
- una esplicita violazione del principio di
sostenibilità, sia in relazione alla tipologia degli interventi, sia per
quanto concerne gli impatti ambientali.
Si tratta di rilievi di criticità non sollevati
esclusivamente dal mondo ambientalista, ma sottolineati dalla stessa
Commissione di esperti indipendenti nominata dal Bundenstag nel rilevare che “l'incentivazione
delle FER tedesche non è uno strumento efficace per la salvaguardia del clima,
non è economicamente efficiente, né ha avuto un effetto positivo
sull'innovazione.
Già nei prossimi anni -
allo scadere dei venti anni di vigenza degli incentivi previsti dai diversi
conti energia - si avvertiranno in Sardegna e nel resto di Italia le prime
criticità di un sistema errato di incentivazione che, anzichè supportare le
attività dei prosumers che avrebbero
potuto garantire una produzione negli anni ben superiore al periodo temporale
di pagamento degli incentivi, ha scelto di elargire laute regalie agli
speculatori delle FER i cui impianti cesseranno la produzione di energia
elettrica allo scadere dell'incentivo. Alla
collettività resterà poi l'onere di smaltire gli impianti e di ripristinare le
aree agricole devastate dagli interventi della pseudo "green economy".
I Sardi sono già abituati alla perversa
aggressione della propria terra basata sul concetto della "privatizzazione degli utili e la socializzazione dei costi
ambientali". Tutto questo con
buona pace dei tanti allocchi che hanno creduto nella vocazione ambientalista
degli speculatori.
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Impianto termodinamico solare in area desertica |
E qui
veniamo al secondo aspetto trattato nella trasmissione, ovvero le centrali CSP
di Flumini Mannu e Gonnosfanadiga, (a latere potrebbero ricomprendersi le finte
serre fotovoltaiche di Narbolia o quelle di Villasor, mai utilizzate per
produzioni agricole). Come autore della nota confessa di aver visitati i luoghi in febbraio
e agosto (stagioni non del tutto propizie) trovandoli “belli ma piuttosto abbandonati”, aggiungendo poi “Leggo che la Sardegna importa
addirittura l'80% del foraggio dall'estero!”
Non
conosciamo la Sua fonte disinformativa, ma riandando come in un nastro
riavvolto alle immagini mandate in onda, in cui si vede una ignota mano
raccogliere sassi sparsi su plaghe arse dal sole, noi, che a lungo abbiamo
lavorato su quelle carte, non possiamo non accostarle alle foto contenute nel
progetto della CSP e tornare con la memoria alla triste tesi ivi sostenuta di
una Sardegna sull’orlo della desertificazione. Non si andrebbe molto lontano
dal vero ipotizzando forse che i Mentori
del nostro “turista per caso” siano stati gli stessi personaggi chiamati a
illustrare nel corso della trasmissione le virtù terapeutiche di interventi
salvifici per occupazione e lungimiranti per tecnologie, avversati da alcuni
sardi di dura cervice!
Un ascolto più attento al territorio (e
certo qualche diversa guida pur da noi resa disponibile) avrebbe invece
evidenziato la contrarietà della quasi totalità di allevatori e coltivatori, i
quali si vedrebbero defraudati dei propri terreni, costretti a rinunciare ad
attività produttive che risultano certificate a livello europeo. Lei ignora
dott. Pozzan che la IGP di “Agnello
di Sardegna” viene riservata agli
agnelli allevati in un ambiente del tutto naturale, caratterizzato da ampi
spazi esposti a forte insolazione, ai venti ed al clima della Sardegna, che
risponde perfettamente alle esigenze tipiche della specie; ignora che l’unico
settore dell’economia in Sardegna con segno positivo è quello
dell’agricoltura; ignora che molti sono
i giovani che stanno ritornando alla terra e che necessitano del capitale
fondiario per poter trovare una soluzione ai complessi problemi della crisi
occupazionale. Se invece che all’unico latifondista, peraltro allevatore
marginale, si fosse data voce a quei numerosi allevatori e agricoltori che
ricavano da quella terra il loro mezzo di sussistenza e che si battono per
evitare che vengano espropriati dei loro diritti, forse il quadro offerto da
Report sarebbe stato quanto meno più aderente alla realtà.
E’ evidente che Consumo
di suolo, Uso del suolo, Sostituzioni paesaggistiche, Sconvolgimenti delle
matrici ambientali, Alterazioni del microclima, Impatti idrogeologici, sono
problematiche che nemmeno sembrano lambire le Sue certezze granitiche, ancorate
ad una profezia di riconversione industriale della Sardegna che sostituisce ai
petrolchimici il miracolo delle CSP.
L’essenza di questo quadro incoerente e lontano
dalla realtà può farsi racchiudere nell’affermazione “Però i vantaggi ci sono: i terreni non vengono perduti
e il giorno in cui tecnologie migliori saranno disponibili, basterà smontare
pale, pannelli e specchi e tutto tornerà come prima. Il clima non sarà alterato
e il terreno sarà ancora fertile”, concetto mediaticamente pregno di
significati escatologici, pronunciato, forse
sotto l’influsso inconscio di uno spot per detersivi, dalla Gabanelli in
chiusura della sua infausta trasmissione.
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Momtaggio della centrale di Priolo (SR) |
Un vero peccato,
se ci si fosse presa la briga di andare a visionare gli elaborati tecnici
allegati al progetto della CSP si sarebbe scoperto ad esempio per la centrale di
“Flumini Mannu” il campo
solare necessiterà di fondazioni a pali del diametro di 1,2 mt e della
profondità di 5-6,7 mt per un numero complessivo pari a 10.440. Lo scavo
interesserà un volume pari a mc 60.700 di terreno, la Power Blok sarà realizzata
su di una platea di calcestruzzo di circa 2.084 mq di superficie dello spessore
di mt 1,5 poggiante su pali di circa 1 mt di diametro, profondi 30 mt per un
numero complessivo di 75 pali, la turbina su di una platea di cls di mt 1 di spessore verrà realizzata su pali
di mt 1 di diametro e mt 30 di profondità per un numero complessivo di 10 pali.
Il volume complessivo di scavo tra Power blok e bacini risulterà pari a mc
67.000. Questi sono solo alcuni dei dati tecnici in nostro possesso, certamente
di gran lunga sottostimati e presentati dalla società proponente al Ministero dell'Ambiente a
seguito di nostre ripetute sollecitazioni. Impossibile rendicontare inoltre
sugli sbancamenti per riprofilare i terreni secondo le nuove giaciture necessarie
agli spianamenti, pratica che comporterà comunque la distruzione irreversibile
del suolo agricolo.
E’ in
tale affermazione dunque il saggio dell’approssimazione informativa con cui
vengono affrontati argomenti tecnici che per l’ampia portata e complessità di
impatti meriterebbero quanto meno una momentanea riflessione. Si sottace che la
Sardegna è già destinata a pagare nel futuro un prezzo altissimo per la
rimozione di tutti gli impianti da FER che le società eviteranno di eseguire
per non accollarsi costi passivi di fine esercizio.
Dovremmo
tralasciare poi di far menzione della presunta compatibilità agricola
dell'intervento riportata alla voce "compensazione ambientale" nei
documenti integrativi presentati al MInambiente dai proponenti l'impianto CSP.
Si tratta semplicemente di qualche accattivante rendering accompagnato da una esercitazione didattica
le cui teoriche conclusioni appaiono lontano anni luce dalla realtà. Mere integrazioni
progettuali intese a rimuovere in modo strumentale le nostre ripetute
osservazioni sull'incompatibilità degli impianti industriali nelle aree
agricole. Per un più attento studio dell'argomento rimandiamo comunque alla lettura
delle nostre numerose Osservazioni presentate al Ministero dell'Ambiente in
sede di procedura di VIA (nota 2).
In ogni caso è stato più volte detto che per noi
il problema della realizzazione delle CSP in Sardegna è sostanzialmente
connesso alla loro localizzazione. Questa tecnologia non a caso definita “energia
dal deserto”(nota 3) può trovare collocazione
in aree industriali, in cave dismesse e in siti degradati non recuperabili
sotto l’aspetto ambientale, in altri termini in contesti brown field e non green field,
così come indicato dalla Direttiva dalla europea 2001/77/CE, sostituita poi
dalla 2009/28/CE, e dal D.M.219/2010.
Sarebbe lungo ed inutile continuare a dissertare
su tali problemi. La invitiamo semplicemente a prendere accurata visione di
tutta la documentazione presente sul sito del Ministero dell’Ambiente. Forse
avrà modo di scoprire un’assonanza significativa, una convergenza di giudizi inconsueta
tra i contenuti delle Osservazioni di Associazioni e Comitati con i concordi
pareri espressi da Organi tecnici dello Stato (Ministeri, Regione, Comuni) in merito alla non sostenibilità di tali interventi,
in relazione alla loro localizzazione e alla Valutazione sugli impatti
ambientali che ne conseguirebbero.
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Area industriale di Portovesme |
Tornando
in chiusura al nostro sogno comune e al suo dispiacere nel “… vedere
che ambientalisti che hanno i miei stessi ideali, di fatto divengano i
migliori alleati della conservazione di un modello
energetico superato e distruttivo”, siamo certi di poter fornire ampie
rassicurazioni: non siamo alleati, consci o inconsci, delle fossili perché da
anni ci battiamo per le rinnovabili. Parlano per noi i numerosi documenti e le tante
Osservazioni presentate in tutte le sedi ai progetti di impianti che utilizzano
le fossili, alle ricerche di metano nel sottosuolo sardo, all’air gun nei mari del Nord Sardegna, alla
dura campagna referendaria che abbiamo condotto per il SI contro le trivelle. Facciamo opera continua e volontaria di
sensibilizzazione per la realizzazione di un modello di sviluppo circolare e sostenibile
e per la salvaguardia delle nostre risorse ambientale, in cui crediamo come
all’unico patrimonio, insieme a quello culturale, da tutelare. Non conosciamo i
suoi ideali, ma crediamo nei nostri e siamo in buona compagnia: ITALIA NOSTRA, WWF, LIPU, FAI, ADICONSUM,
LEGAMBIENTE, GRIG, COMITATI, AUTOREVOLI STUDIOSI E SINGOLI
CITTADINI operano costantemente per la tutela della
tradizione storica e culturale, la valorizzazione dei prodotti agro-zootecnici
locali e a prezzo di immensi sacrifici e
rinnovati vincoli tra generazioni intendono conservare quel patrimonio
culturale che lega indissolubilmente l’uomo al territorio di appartenenza. Tale
patrimonio costituisce un Bene Collettivo nella accezione definita dalla
Ostrom e dalla normativa in fieri sui Beni Comuni, in altri termini un
Bene non sottraibile, né mercificabile, perché patrimonio storico di una
Comunità.
Non siamo dunque un’accolita di sprovveduti che a
tutto dice NO. Noi non crediamo in Sogni di briatorea memoria. Noi ci battiamo
costantemente giorno per giorno, attimo per attimo, per questa Terra che è nelle nostre viscere,
nel nostro sangue, nel nostro midollo: in una parola nel nostro DNA.
E vogliamo aggiungere che, sulla difesa del
territorio e del comune patrimonio naturalistico e paesaggistico, non siamo
disposti ad accettare lezioni da nessuno.
Di queste cose avremmo voluto parlare nella trasmissione
“I fossilizzati” di Report, dei tanti pastori e agricoltori che rischiano
l'esproprio delle proprie terre, della Sardegna che importa ormai l'80% del suo
fabbisogno alimentare, di land grabbing in Sardegna e delle
politiche che la incentivano e la supportano.
Si è persa un'occasione per dare
voce a Comitati e cittadini che rivendicano il diritto di vivere e lavorare la
propria terra e si è invece scelto di screditare le Associazioni Ambientaliste
e di dare voce agli accaparratori di fertile terra agricola: un grave colpo per
la credibilità di Report!
li 17 maggio 2016
[1] Osservazioni al Piano Energetico
Ambientale della regione Sardegna
La risposta del Comitato
NO Megacentrale di Guspini alla redazione di Report
L'incubo realizzabile
Egregio Sig. Pozzan,
nelle sue formulazioni lei commette
diversi errori concettuali, affini a quelli proposti con superficialità nel
servizio malauguratamente andato in onda su “Report”, attinenti a un uso retorico
e non sostanziale delle parole: speriamo che questo sia un errore in buona
fede, comune a tante persone che ragionano su parole anche trattando di
argomenti tecnici e non le trasformano in numeri, o peggio qualche numero lo
mettono, senza vincoli di consequenzialità e senza valutazioni complessive di
contesto: errori che in un ambito professionale, per esempio di progettazione,
manifesterebbero tutta la loro drammaticità causando danni da economici a
tragici.
La portata di tali errori, se uno
discute a ruota libera in un bar o altri ameni contesti, è limitata: quando si
tratta invece di un ambito informativo il danno può essere molto grave, e lo
tocchiamo con mano ogni giorno. Un ambito informativo afferente per di più a
una trasmissione che in molti ritenevano quasi probante per la serietà con cui
trattava gli argomenti, per esempio dando spazio a tutte le parti in causa, cosa che,
sempre per esempio, non è assolutamente avvenuta con i “comitatini del no a
tutto”, i “comitati di traverso”, né con i proprietari di fondi e aziende
agricole che non vogliono vendere e rischiano l'esproprio (ha considerato
questo punto?), i comitati che comunque non hanno la possibilità economica
delle aziende che contrastano, multinazionali che comprano spazio sui giornali
e che si rapportano a vari livelli sia con i centri decisionali (ministeri e
uffici ministeriali) siacon i mass-media (come voi): sì, il danno può essere
molto grave; anche per voi e la vostra credibilità però, perché chi, come noi,
vive queste vicende dall'interno e le conosce nella loro interezza, da quella
fatidica trasmissione vi vede con occhi molto diversi: vi vede falsi, o come
minimo superficiali.
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Raccolta di foraggio a Campu Giavesu |
Un argomento retorico ma erroneo
che lei utilizza con ingenua superficialità (speriamo) è quello di mettere
assieme tutto ciò che odora di rinnovabile, denotato come insieme dei buoni, e
contrapporlo a tutto ciò che in qualche modo è di ostacolo all'insieme
precedente (capiamo anche che la puntata cadeva in un momento delicato, il
giorno del referendum mancato, ma ciò non giustifica l'errata banalizzazione a
cui abbiamo assistito): nell'insieme dei cattivi lei mette tutta la Sardegna, rocce,
piante, “ambientalisti” (messi tra virgolette a sottolinearne la falsa
attribuzione), cittadini vari e amministrazione tutti assieme: anzi forse le
rocce e le piante si possono salvare con tutte le spiagge, basta togliere di
mezzo quegli antipatici dei suoi abitanti, tranne quelli più folcloristici che si
possono mettere in costume sardo per fare su ballu tundu. Nel trattatello di
Schopenhauer edito col titolo: “L'arte di ottener ragione” gli artifici
retorici da lei usati portano numero 1, 24, 32, 35: generalizzare le tesi
dell'avversario per confutarle, distorcerle per ottenerne conseguenze perverse,
ascriverlo a categorie odiose, mostrargli l'utilità che conseguirebbe dagli
argomenti propri. Speriamo (ancora speranze!) di chiarirle le idee dicendole
che non tutto ciò che si autoetichetta come “energia rinnovabile” è veramente
bene, e chi contrasta alcuni dei progetti in questione è altrettanto attivo nel
contrastare gli utilizzi delle fossili, il prosieguo dell'attività estrattiva
insostenibili, le industrie inquinanti, ecc. Anche noi ci chiediamo (ma in
realtà qualche risposta l'abbiamo) come mai il surplus energetico della
Sardegna non si traduca in minori emissioni e in una riduzione dell'attività
degli impianti SARAS di Sarroch e non solo di quelli.
Purtroppo spiegarle tutto in poche
righe, posto che lei sia seriamente intenzionato a capire, è un po' arduo:
siamo persone che lavorano, debbono seguire i propri impegni professionali, che
non sono quelli di fare informazione, come dovrebbe essere il suo, e fanno una
fatica immensa a tener dietro a tutte le offensive delle aziende in questione,
alle quali aggiungiamo anche la vostra trasmissione, inconsapevolmente o meno;
però qualcosa possiamo immediatamente aggiungere alle sue conoscenze, prendendo
spunto dal “sogno” che lei cita: proprio intessute del materiale incorporeo dei
sogni sono le immagini che propone, come quella dell'impianto che a fine vita
viene tolto lasciando la terra più fertile e “più bella e superba che pria”
(Petrolini-Nerone), presa pari pari dalle fole del progetto o dalle chiacchiere
dell'architetto Virdis, che lei ha conosciuto; tale rimozione indolore può forse
essere fattibile per le serre fotovoltaiche (ma anche qui abbiamo degli esempi
che ci raccontano altro, vedi il caso Narbolia), entro certi limiti da
valutarsi, e altrettanto si dica per le pale eoliche; ma certo non vale per gli
impianti CSP come quelli proposti (CSP parabolic trough, parabolici lineari o a
torre, Tower CSP), che necessitano di profondi plinti di fondazione per
mantenere saldi gli specchi alti 8 m, ottime vele per il maestrale, e per
mantenerli coerentemente allineati con la rigidità necessaria secondo i minimi
scostamenti tollerabili per mantenere efficiente l'impianto; al riguardo torna bene
un aneddoto: alla prima proposta agli uffici tecnici regionali per le
valutazioni ambientali, il punto della perdita irrimediabile di vaste
estensioni di suolo fu uno di quelli (fra tanti) citati nelle osservazioni tecniche
proposte dai comitati (che voi evidentemente non dovete aver letto, neanche quelle
spedite agli uffici ministeriali: come gli spettatori di un film che non
vogliono sapere che i loro eroi fanno cose letteralmente impossibili), che al
loro interno contano professionisti di varie specialità in grado di valutare
compiutamente progetti di tal fatta. Su quel punto specifico la società tentò di
rispondere proponendo sostanzialmente un altro progetto in cui, tra le altre
cose, le fondazioni erano sostituite da pali a vite: avvertiva il progetto che
ciò era subordinato però alla valutazione dei terreni in corso d'opera, poiché
contrariamente alle norme di legge al momento della presentazione a valutazione
il progetto era privo di diverse indagini necessarie per un'opera di tali
dimensioni (e ancora risulta mancante degli elaborati necessari), e della sua
inconsistenza tecnica si rendevano conto sia i tecnici preposti all'esame, come
manifestarono negli atti espressi, sia le figure professionali appartenenti ai
“comitati di traverso”: l'obiezione ai pali a vite, come già sottinteso tra le
righe precedenti, era che i terreni alluvionali in sito non consentivano di
certo la necessaria resistenza ai cedimenti e forse neanche la capacità
portante, con fondazioni di tal fatta, e che la società proponente avrebbe già
dovuto sapere questo, se avesse svolto le necessarie indagini geognostiche e
geotecniche (che la legge prescrive pari a un livello di progettazione
definitivo, termine di valenza tecnica definito nel codice degli appalti e
relativo regolamento d'attuazione). Dagli uffici tecnici non potevano che concordare
con la puntualità delle osservazioni, o erano le stesse valutazioni che erano
chiamati a fare per lavoro (ah, questi tecnici: quando controllano è
burocrazia, quando non lo fanno sono delinquenti: bisogna decidersi), e
richiedevano quindi integrazioni alla proponente; finché le indagini furono fatte (ma solo per uno dei due impianti
proposti), e, indovina indovina, venne fuori che i pali a vite non erano
sufficienti, come tutti sapevano da principio.
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Area occupata dall'impianto CSP di Gonnosfanadiga |
Per la cronaca, i pali a vite erano
l'unico dispositivo che avrebbe un po' (un pochino) attenuato l'impatto atteso
di un tale impianto: di fatto la sua realizzazione costituirebbe uno
sconvolgimento totale del suolo su 230 ettari per il progetto “Gonnosfanadiga”
e altri 269 per quello denominato “Flumini Mannu”, l'impermeabilizzazione
complessiva di ben 5 chilometri quadrati; ricordiamo che l'impianto è
costituito dal campo solare, costituito dalle linee di specchi e dagli spazi
necessari interposti, con relative fondazioni profonde e sottoservizi, nonché
sistema di raccolta delle acque di prima pioggia per non inquinare le falde; ci
sono poi due ettari completamente impermeabilizzati per la power block e i
serbatoi, con le loro circa 14500 tonnellate di sali fusi per il solo impianto
di Gonnosfanadiga (che rendono l'impianto assoggettato alla disciplina
“Seveso”: eh sì, venivano usati come fertilizzanti, ma in quelle quantità
rappresentano un inquinante pericoloso altamente eutrofizzante, e sono anche un
comburente molto attivo).
Certo, voi direte, ma che ce ne
frega del suolo? Ce n'è tanto... Se vi manca il tempo per istruirvi al riguardo,
provate a farvi un giro per Rai3, ogni tanto ci bazzica Luca Mercalli, chiedete
a lui, o all'ISPRA, o alle nuove PAC dell'UE, che finanziano gli agricoltori
per mantenere improduttivi e a riposo i suoli: che diminuiscono a ritmo
vertiginoso.
Le criticità dell'impianto sono
queste e altre, relative alle acque per esempio, o allo spianamento del sito
d'intervento: il fatto che la fonte energetica sia “rinnovabile” non vuol dire
che sia “sostenibile”, perché se va ad incidere su altri beni meno visibili
alla nostra umana insipienza e impazienza, ma non rinnovabili, vuol dire che
sta distruggendo. Perché non fare l'impianto su aree industriali, già
intaccate? Possiamo rispondervi: perché costano di più. L'arch. Virdis risponde
anche in altro modo: perché sprecare una preziosa area industriale,
deturpandola con i CSP, quando abbiamo inutili aree ad uso agricolo? Nei
bilanci industriali il valore è equivalente al prezzo, la nostra civiltà è ancora
abbastanza barbara da non aver ben chiaro il significato di “futuro”, se non
legato all'ammortamento dei costi.
Continuando a leggere la sua
lettera ci cade la mascella: “oggettivamente alleati con chi vuole lo status
quo”? Lei a noi pare un formidabile alleato di un'azienda dal potere
schiacciante, che contatta membri del governo, che è riuscita a tener vivo
finora un procedimento che doveva essere chiuso da tempo in virtù della
pochezza progettuale e delle criticità, come riscontrate ad esempio dagli uffici
di VIA regionale e dal MiBAC (richieda l'accesso agli atti); noi al confronto
siamo muti, riusciamo ad esprimerci solo con gli strumenti sempre più stretti
che la legge ci mette a disposizione per l'autotutela, quegli stessi che ci
vengono rinfacciati dall'ineffabile Gabanelli che ci chiama “comitati di traverso”
(la rinvio a questa nostra nota pubblicata online: "Quando i comitati si
mettono di traverso" (https://www.facebook.com/notes/no-megacentrale/report-quando-i-comitati-si-mettonodi-traverso/852967871475157)
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Un disastro annunciato è quanto resta della miniera d'oro di Furtei |
Le rammento che le stesse palle sul
progresso della Sardegna venivano proposte a una popolazione incolta e affamata
di lavoro dagli stessi che hanno aperto Sarroch, Portovesme, Ottana (basta rileggersi
le cronache, noi l'abbiamo fatto), e ogni singola attività produttiva e
inquinante nell'isola, della quale ora si raccolgono i cocci e si nascondono i
problemi di salute, cercando di dare vie di scampo a una popolazione che spesso
non ha più neanche le terre da lavorare perché rese improduttive o inquinate
dalle attività industriali. Anche in quelle occasioni i soliti gufi fecero
tristi previsioni, che si sono sinistramente avverate, e che voi vi troviate
ora sulla sponda di quelli che rigettano il “vecchio” progresso a favore del
“nuovo” ne è dimostrazione.
Bisogna chiudere tutte le attività
industriali, abbandonare la speranza di nuove produzioni energetiche? No certo,
bisogna farle “come si deve”, accettando il fatto che le conoscenze necessarie per
comprendere e portare avanti tali percorsi costituiscono un sistema complesso,
che richiede la comprensione il più possibile esatta di ogni aspetto di un
contesto, comprensione nella quale i vuoti di cognizione vengono riempiti di
precauzione, e rifiutando di converso le visioni semplificatrici e semplicistiche
attraverso le quali investitori votati al profitto ma non al bene comune
vogliono ottenere i risultati prefissi, raccontandoci favolette di impianti
costruiti col marzapane.
Nel “come si deve” di cui sopra è
compreso anche il “dove si deve”: le allego al riguardo due link, un articolo
su “Nature” del 2015 e un'intervista all'autrice:
Dice di aver fatto un sopralluogo
nelle zone interessate dall'intervento: con chi, da solo? Accompagnato solo dai
suoi occhi? Che studi ha fatto, quali conoscenze ha alle spalle per esprimere
valutazioni?
Le faccio presente che nel suo
servizio lei ha mandato finanche le immagini di un campo arato, parlandone come
di un campo abbandonato: certo, finché è solo arato non ha un bell'aspetto, ma
è una lavorazione necessaria, si esegue con scopo, il contrario dell'abbandono;
mi ricorda i bambini di città, che vedendo per la prima volta le capre,
citavano da saputelli: “Quelle sono le mucche”. Le faccio inoltre presente che
il valore ecosistemico di una zona naturale, o rinaturalizzata non dipende dal
suo essere coltivata, altrimenti fanno bene ad abbattere l'Amazzonia o le
foreste equatoriali, come purtroppo avviene: anche una zona “abbandonata” alla
natura svolge la sua funzione, e faremo bene ad integrarla nella nostra visione
d'insieme.
Anche nel contesto socio economico
piglia (e mette in onda) 'na sola: l'agricoltore che lei intervista,
intenzionato a migliorare la sua azienda con i soldi derivanti dalla
cessione-affitto del fondo, di fatto non è un agricoltore, ma un latifondista
ereditario, molto benestante, che non ha mai fatto un giorno da agricoltore in
vita sua. Di contro invece non ha intervistato quelli che non vogliono vendere e
che verrebbero espropriati dei terreni e di vere aziende agricole.
E quanto al livello politico? Che
c'entra intervistare in merito ai CSP un assessore all'industria poco
all'altezza del ruolo, che degli impianti sa poco e niente, visto che sono
ancora al vaglio della CTVIA (dentro una procedura allungata a dismisura dalla
volontà dell'azienda di evitare una valutazione che si preannuncia negativa, se
non peserà l'intervento politico, distorcente della insostenibilità dell'opera),
spesso vanamente chiamata in causa dai comitati; anzi, che c'entra la politica,
quando in prima istanza il problema è squisitamente di valutazioni tecniche
sulla compatibilità ambientale e sostenibilità a vari livelli? Di fatto la
politica dovrebbe entrare in campo dopo la relazione dei servizi tecnici
regionali di SVA (oops, hanno bocciato entrambi i progetti), ratificandola, e
di fatto sappiamo entrambi che agire diversamente avrebbe un significato
preciso: favoritismi.
Quanto immediatamente sopra ha
valenza più generale: il problema delle fonti energetiche è prima tecnico, di
valutazione ambientale e di sostenibilità, e solo dopo è politico.
Vorremmo dirle tante altre cose
sull'argomento, sugli impianti CSP, sulle fonti energetiche rinnovabili in
generale e sull'inquinamento, nonché sulla sostanza del vostro servizio, ma il
lavoro ci richiama: ci auguriamo di averle dato elementi utili per valutazioni
ulteriori e più corrette, o almeno più complesse.
Saluti
il Comitato No Megacentrale
Guspini, 12 maggio, 2016
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Raccolta del foraggio nell'azienda Cualbu di Decimoputzu (terreni a rischio esproprio) |